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Palermo – Torri d’acqua, ricca testimonianza che non interessa a nessuno

Claudio Di Gesu

Palermo – Torri d’acqua, ricca testimonianza che non interessa a nessuno

sabato 24 Settembre 2011

Un antico e affascinante sistema di distribuzione idrica che sfruttava il principio dei vasi comunicanti. Disseminate in città, sono un importante ma dimenticato patrimonio archeologico

PALERMO – Un sistema sapiente, che ha permesso per secoli ai cittadini, di potere fruire di acqua potabile: le torri d’acqua. Sono oramai indubbiamente superate da moderne e più igieniche tecniche di distribuzione, ma ciò non toglie o quantomeno non dovrebbe togliere, a chi gestisce il patrimonio storico, il dovere di ben conservarle a futura memoria, tenuto conto sia del loro significato intrinseco, sia della loro, oramai residuale, presenza nel territorio. Girando per la città se ne incontrano ancora, anche in zone totalmente opposte dal punto di vista topografico, dalle più antiche (dentro le vecchie mura della città) alle nuove zone di espansione edilizia, in tutto una trentina.
In uso a Palermo fino alla soglia del ventesimo secolo, questo sistema di torri d’acqua, sfruttando il principio dei vasi comunicanti, permetteva la distribuzione dell’acqua proveniente dalle sorgenti, in tutta la città. Nell’Ottocento, la città ne contava almeno settanta. I castelletti facevano parte di tre corsi d’acqua diversi, il Campofranco, il Gesuitico e Gabriele.
Ci chiediamo perché abbandonare a se queste “torri”, veri e propri capolavori dell’ingegno umano, risalenti addirittura al periodo arabo se non a quello romano? Di molte di esse, infatti, non rimangono altro che ruderi ma qualcuna è ancora ben conservata e racchiude in sé tutto il fascino dell’antica distribuzione dell’acqua in città. Più che ben conservata, dovremmo dire che la tecnica costruttiva usata dai nostri predecessori ha consentito a queste opere murarie di reggere ma, sicuramente, non potrà essere così per molto tempo ancora, se non si eseguiranno interventi conservativi adeguati.
Un esempio di buona conservazione riguarda le torri d’acqua di piazza Cappuccini, esattamente di fronte all’ingresso delle catacombe e di Porta Montalto (una delle antiche porte della città) in prossimità dell’ospedale dei bambini. La prima, quella di piazza Cappuccini, mostra ancora la scala in metallo che era utilizzata, quotidianamente, dai “fontanieri” per raggiungere la parte sommitale (urna) di raccolta e  regolare così, la quantità di acqua da smistare ad ogni utente. Variando semplicemente il lume del tubo di mandata, la quantità di acqua erogata a ciascun privato era regolata facendo defluire il liquido in un sistema di tubi conici divergenti, che permettevano il calcolo del volume di liquido da consegnare, determinato dal calibro stesso del tubo.
Le unità di misura utilizzate non erano quelle attuali, ma le più comuni erano la penna, il darbo, la zappa. Così, come noi oggi misuriamo ed eroghiamo l’acqua nelle nostre case con contatori e rubinetti, nello stesso modo chi gestisce i “rubinetti finanziari” della nostra città dovrebbe comprendere che la tutela di questo patrimonio è oltre che doveroso anche funzionale alla conservazione di beni oramai non in uso, ma ricchezza culturale di un’intera città e della sua gente.
 

 
La Sovrintendenza. Basterebbe una piccola manutenzione
 
PALERMO – “Prioritariamente ogni ente pubblico deve mantenere il patrimonio ad esso affidato”, esordisce Lina Bellanca, responsabile dei beni architettonici e urbanistici della Soprintendenza BB.CC.AA, da noi contattata sull’argomento. “Le torri d’acqua – spiega – per buona parte ricadono su proprietà private o aggregate a proprietà comunali e quindi, il nostro intervento, può essere indirizzato esclusivamente per la tutela e mantenimento qualora un progetto di edificazione intenda alterare lo stato di fatto. In realtà una piccola manutenzione costante, che a onor del vero, non troppo tempo addietro si eseguiva abitualmente, agevolerebbe tantissimo la protezione di questi manufatti, come per tutti gli altri beni di cui la nostra città è molto ricca. La crisi economica – conclude Bellanca – non facilita e incoraggia quest’atteggiamento che dovrebbe essere diffusamente presente”.

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