Dirigente senza laurea? Danno erariale - QdS

Dirigente senza laurea? Danno erariale

Antonio G. Paladino

Dirigente senza laurea? Danno erariale

giovedì 27 Ottobre 2011

Così la sentenza n. 363/2011 della Corte dei Conti Toscana, in applicazione del decreto legislativo n. 165/2001. Il titolo accademico non una formalità, ma metro di valutazione della congruità della spesa pubblica

PALERMO – Negli enti locali, le funzioni di city manager richiedono per il loro utile svolgimento, il possesso del titolo accademico, da cui non si può prescindere. Infatti, in relazione a tale incarico, la pubblica amministrazione locale è chiamata a remunerare non una prestazione qualsiasi, ma la specifica prestazione di un contratto di alta dirigenza, con standards qualitativi, quantitativi e di professionalità ben determinati. Mancando tali parametri, ovvero l’adeguata preparazione culturale, la prestazione lavorativa è del tutto inadeguata alle esigenze dell’amministrazione.
Così la sezione giurisdizionale della Corte dei conti Toscana, nel testo della sentenza n.363/2011, con la quale ha condannato gli ex amministratori del Comune di Pontassieve, a rifondere le casse comunali del danno patito per le indebite erogazioni stipendiali a favore dell’ex direttore generale dell’ente, nominato dalla giunta nonostante lo stesso fosse sprovvisto del diploma di laurea.
Al fine di pervenire ad una definizione del giudizio, per il collegio toscano, è fondamentale chiarire che il diploma di laurea costituisce un requisito culturale necessario per accedere alla qualifica dirigenziale, anche nel caso dell’incarico di direttore generale conferito dal sindaco a tempo determinato a norma dell’art.108, comma 1, del d.lgs. n. 267 del 2000.
Non vi è dubbio che anche in ambito locale deve trovare applicazione la disciplina dei requisiti per l’accesso alla dirigenza pubblica prevista dal codice del pubblico impiego (art. 28, d.lgs. 165/2001). Il collegio toscano ha infatti rilevato “uno stretto legame” tra le previsioni del Tuel e il dlgs n.165/2001 in tema di personale. Infatti, l’art. 111 del d.lgs. n. 267/2000 dispone che in materia di personale, gli enti locali sono tenuti ad adeguare la propria normativa statutaria e regolamentare ai principi del Capo III del Tuel e al Capo II del decreto legislativo n. 29 del 1993 (attualmente contenuti nel Titolo II, Capo II, del d.lgs. n. 165 del 2001) tenendo conto delle proprie peculiarità. Una disposizione che deve necessariamente coordinarsi con la norma contenuta nell’art. 27 del d.lgs. n. 165 del 2001, che pone alle pubbliche amministrazioni non statali, tra le quali appunto gli enti locali, l’obbligo di adeguare i propri ordinamenti ai principi sulla dirigenza contenuti nel Capo II del titolo II del d.lgs. n. 165 del 2001, pur riconoscendone le relative peculiarità, e nel rispetto della potestà statutaria e regolamentare.
Nell’attenta argomentazione addotta dal collegio giudicante, si rileva che la figura del direttore generale dell’ente locale è un incarico “indubbiamente concepito dal legislatore” in termini di alta professionalità ed elevato livello culturale. Per queste figure, la P.A. è chiamata pertanto a remunerare non una prestazione qualsiasi, ma una in particolare, caratterizzata da elevati livelli di qualità e professionalità. Ora, mancando la preparazione culturale (che è data da una formazione di livello universitario) la prestazione lavorativa è del tutto inadeguata alle esigenze dell’amministrazione pubblica e la controprestazione, ovvero la retribuzione, non è correlata alla prestazione che viene richiesta. Senza dimenticare, rileva il collegio, che è avvenuta la manifesta violazione di norme di legge. Ovvero degli articoli 19 e 28 del dlgs n.165/2001, dalla cui lettura si evince che il possesso della laurea deve considerarsi requisito culturale obbligatoriamente richiesto per l’accesso, a qualunque titolo, alla dirigenza. E questo sia per le amministrazioni centrali che per quelle locali. Il titolo accademico, ha concluso il collegio, non costituisce una mera formalità, ma un metro di valutazione della legittimità e della congruità della spesa pubblica, a fronte della scelta dell’organo di vertice politico.

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