“In effetti, già adesso le Province sono consorzi di comuni. L’apparato elettivo di cui si parla, in particolare consiglieri, saranno ridotti notevolmente con la nuova manovra finanziaria e andranno da dieci ai diciotto delle province più grandi”.
“C’è un tentativo generale di svilire le assemblee elettive, a tutti i livelli. Oggi, su tutto il costo della politica, su un totale, quindi, di circa ottocentosettanta miliardi di euro di spesa pubblica dell’apparato dello Stato, le Province costano centotredici milioni. Domani, con la riforma, costeranno 35 milioni di euro. Obiettivamente un importo basso, che non sembra poter incidere sulle finanze dello Stato. Non penso, insomma, che queste cifre rappresentino davvero il problema del Paese, che è un altro. Da un lato, infatti, c’è il tema degli organi istituzionali, dall’altro, c’è quello dei costi della politica; ma sono due temi separati che non possono e non devono essere correlati. Non è il costo delle province ad incidere sulla spesa pubblica: il tema vero riguarda la rappresentatività dei territori. Il Parlamento ha sempre meno peso e i provvedimenti li fanno il Consiglio dei ministri o il ministero dell’Economia che vengono poi ratificati; le assemblee elettive regionali sono ormai in mano ai governatori. I luoghi per l’esercizio della democrazia rimangono i Consigli comunali e provinciali e le Assemblee elettive. La Provincia, ad esempio, ha rappresentanti di tutto il territorio etneo”.
“Siamo favorevoli: noi, nel corso di un recente tavolo a livello nazionale, abbiamo chiesto di ridisegnare l’architettura istituzionale dello Stato, che riguarda Comuni, Province e Regioni. Non si può partire dalla Province, dando in pasto all’opinione pubblica un argomento che di fatto, da solo, non risolve niente. C’è il tema del monocameralismo, il tema del senato delle Regioni, il tema dell’accorpamento delle Regioni; insomma, un problema di assetto istituzionale che va affrontato organicamente. Se noi accorpiamo le Province, dovremmo occuparci anche di Regioni che, come il Molise, hanno 300 mila abitanti. Le ultime Province non sono nate perché le ha volute l’Unione delle Province Italiane, ma perché così si è espresso il Parlamento. Oggi c’è la necessità di mettere ordine, senz’altro, ma non colpendo Comuni e Province, che sono gli unici che fanno amministrazione, mentre le Regioni fanno legislazione: tra il Comune e la Regione, c’è la necessità di un governo di area vasta. È questa la dimensione migliore per governare il territorio; lo ha affermato anche il presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, che ha parlato di quella provinciale come la “dimensione ideale per dare servizi efficienti”. Ed in effetti, la provincia è la dimensione ideale, ad esempio, per fare pianificazione energetica, relativa alla mobilità o alla sicurezza”.
“Beh, ad esempio, a Catania abbiamo realizzato il Piano della mobilità: l’Ente provinciale ha messo insieme tutti i diversi attori influenti sull’argomento, Ferrovie dello Stato, Ferrovia Circumetnea, Ast, Amt, Porto, Interporto e Aeroporto, facendoli dialogare proprio per prevedere una pianificazione e una programmazione uniche. Questo significa razionalizzazione, semplificazione e riduzione dei costi. Un altro esempio riguarda il piano provinciale per l’efficienza energetica di tutte le strutture scolastiche: anche in questo caso la Provincia è naturalmente il luogo deputato per la pianificazione e tutti gli istituti saranno gestiti dall’ente provinciale”.
“In effetti, il Governo nazionale, anche quando modifica l’articolo 114 della Costituzione, ritiene comunque che debba esserci un ente regionale intermedio. Insomma, sembra che il problema sia più terminologico che concettuale. Quello che è certo è che, con l’abolizione delle Province, ci sarebbe un aggravio dei costi e, forse, una diminuzione dei servizi”.
“Il vero problema, fino a oggi sottovalutato, è che il nostro Paese ha 2.000 comuni sotto i mille abitanti, 6.000 comuni sotto i cinquemila abitanti; 7.500 comuni sotto i 15 mila abitanti. Insomma, c’è un problema di funzioni che bisognerebbe accorpare e associare tra i comuni. Non si deve e non si può, certamente, sopprimere un comune, per quanto piccolo, perché ha la propria identità, ma si potrebbe prevedere, almeno, la gestione associata delle funzioni. Noi, qualche anno fa, avevamo detto al Governo di partire dalla Carta delle Autonomie, in attuazione del Titolo V della Costituzione, che prevede l’individuazione delle varie funzioni ai diversi livelli di governo, in maniera che non ci siano accavallamenti o dilatazione dei tempi. Quindi, prima la carta delle autonomie; in seguito, dopo aver stabilito chi fa cosa, si può procedere alla razionalizzazione. Il federalismo, in questo senso, avrebbe dovuto procedere, dunque, al contrario: prima stabilire le funzioni e poi i finanziamenti”.
“Sicuramente, serve un piano di efficientamento sia dei Comuni che delle Province, per avere chiare le funzioni e poter, quindi, semplificare. Un azione che andrebbe portata avanti coinvolgendo anche le Regioni, alle quali oggi sono attribuite funzioni che, secondo me, dovrebbero essere delle Province. Mi riferisco, ad esempio, agli studi di valutazione sull’impatto ambientale, per evitare attese lunghissime, oppure alla formazione professionale”.
“Chiaramente, bisogna confrontarsi anche sul piano del debito pubblico, permettendo, ad esempio, agli enti virtuosi di liberare i residui passivi. Oggi, nelle casse delle Province, ci sono ben 10 miliardi di euro che il Patto di stabilità non ci permette di spendere. In merito a questo, abbiamo avanzato alcune proposte concrete, ma servono tavoli di discussione per liberare le risorse, attraverso, ad esempio, la dismissione di parte del patrimonio pubblico o utilizzando la finanza di progetto (project financing), accordandosi dunque con i privati”.
“Noi, come Upi, abbiamo optato, a livello nazionale, sulla compartecipazione Irpef, Rca; c’è un decreto già pubblicato e ognuno sa come potersi organizzare. Il dramma è in Sicilia, dal momento che le Regioni a statuto speciale sono state estromesse da tutto questo. Ad esempio, dal primo gennaio, per il resto del nostro Paese non ci saranno trasferimenti e ognuno si sta organizzando a livello di autonomia tributaria, ma la Sicilia no. Qui, non sono state definite le funzioni delegate alle Province”.