Della maleducazione giovanile risponde il genitore educatore - QdS

Della maleducazione giovanile risponde il genitore educatore

Eloisa Bucolo

Della maleducazione giovanile risponde il genitore educatore

mercoledì 14 Dicembre 2011

Sentenza della Cassazione: L’educazione deve essere impartitta a monte

CATANIA – I numerosi atti di bullismo e le diverse forme di maleducazione giovanile, ci spingono di continuo ad interrogarci sulle cause del dilagante fenomeno.
E’ di questi giorni la notizia delle indagini avviate dagli agenti di polizia di Catania, sulla presenza di candeggina in una bottiglia d’acqua bevuta da una studentessa del secondo anno del liceo scientifico, sottoposta a lavanda gastrica.
I ragazzi d’oggi sono maleducati e non hanno più valori o sono i genitori d’oggi ad aver smesso di trasmettere loro principi e valori?
La risposta arriva dalla recente sentenza n. 26200 della terza sezione civile della Cassazione, che ha condannato i genitori di un minorenne, responsabili di non aver educato a dovere il loro figlio che, nel corso di una partita di calcio, a gioco fermo, aveva dato una testata alla bocca ad un avversario.
I giudici di merito avevano ritenuto ingiusto condannare i genitori al pagamento dei danni, ritenendo che unico responsabile del fatto era il ragazzo e che i genitori “non avrebbero potuto intervenire nel corso della competizione sportiva”. Ragionamento non condiviso dalla Cassazione che ha accolto il ricorso del padre del ragazzo infortunato, sostenendo che l’educazione deve essere impartita a monte.
L’art. 2048 c.c., in termini di presunzione di colpa, stabilisce che i genitori sono responsabili dei danni cagionati dai figli minori che abitano con essi, per quanto concerne gli illeciti riconducibili ad oggettive carenze nell’attività educativa. La presunzione di responsabilità trova fondamento, sia nel potere-dovere di vigilare sul comportamento dei figli, sia nell’obbligo di impartire loro adeguata educazione al rispetto delle regole della civile coesistenza, vigenti nei diversi ambiti del contesto sociale. Secondo l’interpretazione di tale disciplina, fornita dalla Cassazione, è necessario che i genitori, al fine di fornire una sufficiente prova liberatoria e superare la presunzione di colpa desumibile dalla norma, debbano offrire, non la prova legislativamente predeterminata di non aver potuto impedire il fatto, ma quella positiva “di aver impartito al figlio una buona educazione e di aver esercitato su di lui una vigilanza adeguata, il tutto in conformità alle condizioni sociali, familiari, all’età, al carattere ed all’indole del minore”.
 
L’inadeguatezza dell’educazione impartita, in mancanza di prova contraria, si può desumere dalle modalità dello stesso fatto illecito, che ben possono rivelare il grado di maturità e di educazione del minore, conseguenti al mancato adempimento dei doveri incombenti sui genitori, ai sensi dell’art. 147 c.c. Nel caso in questione, la Suprema Corte osserva che “non solo non e’ stata fornita una prova liberatoria, ma le modalità stesse del fatto illecito sono tali da apparire suscettibili di essere interpretate come indice di un deficit educativo”.

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