Mantenere un’impresa? Un’impresa! - QdS

Mantenere un’impresa? Un’impresa!

Francesco Sanfilippo

Mantenere un’impresa? Un’impresa!

giovedì 19 Gennaio 2012

Pressione fiscale e contributiva a carico dei lavoratori, inefficienze della Pa e lavoro sommerso minano il tessuto economico. Le restrizioni al credito operato dalle banche non aiutano i titolari delle aziende isolane

PALERMO – Tenere un’impresa artigiana aperta, oggigiorno, in Sicilia richiede notevoli sforzi economici poiché il peso dei contributi Inps e delle tasse può metterla in seria difficoltà. Se a questo si aggiungono i debiti da parte della P.A. nei confronti delle imprese creditrici, le aziende entrano in un circolo vizioso micidiale.
Un negozio di parrucchiere di 70 mq ubicato in una zona semi-residenziale su ricavi che si aggirano sui cento mila euro annui, paga il 40% in contributi per il personale, il 18% in acquisto della merce, 13% in locazione, il 4% in utenze come luce e telefono, 0,7% in Tarsu, 0,3% in ritiro rifiuti da differenziata e 0,1% in assicurazione Inail, per cui il suo utile d’esercizio positivo è del 23% circa. Su quest’ultimo, vanno calcolate l’Irpef che si prende il 17%, l’Irap che incide per il 5%, gli oneri previdenziali Inps su Unico per cui se ne va il 9%, così che il 31% dell’utile di esercizio incassato dal titolare se ne va in tasse e contributi.
Perciò, un artigiano che dovesse guadagnare 26 mila euro annui, prenderebbe 1.495 euro al mese, al posto dei 2.166 euro, poiché ben 671 euro se ne andrebbero tra tasse e oneri previdenziali. Chi dovesse avere impiegati in regola, su una retribuzione per dipendente di 1.861 euro, circa 787 euro se ne vanno retribuzione indiretta e oneri sociali. In più, i mancati pagamenti dei crediti inevasi che la Regione deve alle imprese per lo svolgimento di determinati servizi, sono tali da strozzare economicamente le stesse imprese. Queste ultime, infatti, richiedono liquidità per pagare i costi dei materiali, le tasse e i contributi Inps dei dipendenti, in assenza dei quali le aziende stesse non possono ottenere il D.u.r.c (Documento Unico di Regolarità Contributiva).
Senza il D.u.r.c, le imprese non possono ricevere fondi dalle banche, già poco disponibili, e devono pagare alla Serit, l’agenzia di riscossione siciliana, non solo i contributi non pagati, ma anche un interesse del 9% su tali contributi, oltre le multe che sono più pesanti degli stessi contributi inevasi. Se si ritarda, l’impresa si trova pignorata i suoi strumenti e non può più operare neanche per estinguere i debiti.
Anche quando le imprese ottengono le somme dovute, non ricevono alcun interesse per il tempo indebitamente perso. Non sorprende, quindi, che numerose imprese si dichiarino fallite, salvo, poi, operare in nero, mettendo in difficoltà le imprese che continuano a operare nella legalità. Un esempio delle difficoltà nei rapporti tra la P.A. e le imprese è offerto dal SISTRI (Sistema di Controllo della Tracciabilità dei Rifiuti) che è il sistema informativo voluto dal Ministero dell’Ambiente. Ciò ha comportato costi aggiuntivi per un sistema il cui funzionamento che doveva avvenire nel 2009, ma che è stato procrastinato.
 
Nel frattempo, le imprese hanno pagato l’iscrizione al Sistri per una cifra totale di ben 9 milioni di euro, 70 euro ad impresa dopo una cifra iniziale prevista di 120 euro. Alcune imprese hanno già pagato quest’ultima cifra prima dell’intervento delle associazioni di categoria, ma aspettano da due anni il rimborso di quanto indebitamente speso per la disorganizzazione della P.A.
 

 
L’approfondimento. Due su tre lavorano in nero
 
Il presidente della Confartigianato della Provincia di Palermo, Nunzio Reina, ha dichiarato: “La Confartigianato di Palermo è un comparto che sta subendo delle difficoltà enormi di sopravvivenza. La crisi generale e una forma d’illegalità diffusa in questa città hanno creato un problema gravissimo che è la cancellazione delle imprese dalla camera di commercio. Le stesse, però, continuano a lavorare in maniera illegale, in nero, così che su tre imprese appartenenti a un unico titolare, una è tenuta aperta per fare le certificazioni e le fatture, mentre le altre due lavorano in nero. Le due imprese non pagano nulla e riescono a realizzare guadagni non indifferenti, facendo concorrenza sleale alle imprese che restano sul mercato. Il problema della città è un’illegalità diffusa che sta creando una vera bomba economica. L’impresa legale chiede una somma superiore per sostenere i costi, cosa che non accade per gli abusivi. Anche il cittadino non ha la cultura di richiedere lo scontrino seppur in caso di problemi, l’abusivo non è perseguibile perché privo di responsabilità. Un servizio pagato a un’impresa in regola include una garanzia e una continuità di servizio che un abusivo non può garantire”.

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