Agricoltura, patto Ue-Marocco. Più difficile controllare - QdS

Agricoltura, patto Ue-Marocco. Più difficile controllare

Stiben Mesa Paniagua

Agricoltura, patto Ue-Marocco. Più difficile controllare

mercoledì 29 Febbraio 2012

Abbiamo intervistato il presidente di Confagricoltura Sicilia a proposito del recente accordo votato dal Parlamento europeo. Diana: “Ci sarà una dura presa di posizione, ci sono una serie di passaggi che faremo fino in fondo”

CATANIA – Tra le tanti voci di protesta ed in difesa del Made in Sicily che si sono levate per l’accordo tra l’Ue e il Marocco per la liberalizzazione reciproca dei prodotti agricoli e ittici, approvato dal Parlamento europeo, con una maggioranza di voti 369 contro 225 e 31 astenuti, c’è quella di Gerardo Diana, presidente di Confagricoltura Sicilia. L’abbiamo intervistato.
Quali saranno le conseguenze più immediate per le aziende agricole siciliane dopo il sì del Parlamento europeo all’accordo col Marocco?
“A noi questo preoccupa molto. Considerando che i controlli sulla provenienza dei prodotti vengono realizzati sporadicamente nei mercati, è ovvio che con l’ingresso di un grande quantitativo di merce proveniente da Marocco sarà sempre più difficile controllare. Adesso, per quel che riguarda l’accordo votato dal Parlamento europeo, c’è passaggio di ratifica del Consiglio dei ministri europei e noi come Confagricoltura ci stiamo facendo sentire evidenziando come nello stesso report presentato dall’Unione europea sulla situazione del paese Nordafricano, si parli di 1,5 milioni di lavoratori minori, di un salario medio di 5 euro, dell’utilizzo di prodotti fitosanitari che in Europa non sono più consentiti da 15 anni, nonché di un comportamento antisindacale. Bene, fare accordi per contribuire con la pace sociale e per una maggiore coesione con questi paesi sarebbe giusto, ma accordi analoghi non hanno avuto successo con paesi come l’Egitto, la Siria o la Libia. Errare è umano, perseverare è diabolico”.
Pensa che c’entrino le multinazionali?
“Sempre da questo report appare come l’esportazioni dal Marocco siano nelle mani di tre grandi gruppi di cui il 70 per cento del capitale è franco-marocchino. Vorrei sapere che vantaggio c’è per la popolazione del paese Nordafricano. A me sembra un’opzione di land grabbing (accaparramento della terra), come quella che fanno paesi, come Cina ed India, che comprano terreni per far fronte ad un futuro aumento demografico. In Marocco, al Sud, è partito un progetto che in prossimità della città di Guelmin destinerà 700 mila ettari per impianti agrumicoli, olivicoli ed orticoli. Lo sviluppo di un progetto di questo tipo dimostra che la prospettiva di un accordo di libero scambio interessa grossi gruppi finanziari pronti a giocare d’anticipo e ad appostarsi alle porte dell’Unione. In queste condizioni il nostro destino è assolutamente segnato”.
A questo punto voi come Confagricoltura cosa farete?
“Oltre al già citato passaggio con la Commissione dei ministri europei, ci sarà una dura presa di posizione da parte del presidente di Confagricoltura nazionale, Mario Guidi, perché il governo italiano, sia quello precedente che quello attuale, ha di fatto dato il proprio assenso. Invieremo una lettera specifica ad ogni eurodeputato che si è astenuto o che ha votato contro, rimarcando i danni che questo voto comporterà per le regioni mediterranee. Oltretutto stiamo valutando l’ipotesi di fare ricorso proprio perché questo accordo parte da presupposti sbagliati. Ci sono una serie di passaggi che faremo fino in fondo”.
 


Soluzioni alla crisi. I consorzi tra agricoltori possono aiutare
 
Cambiando argomento, considerando il periodo di crisi e la difficoltà che sta affrontando il settore, come mai gli agricoltori non fanno consorzio per aumentare il potere contrattuale nei confronti della grande distribuzione organizzata?
“Sciascia diceva in Sicilia ogni uomo è un’isola. Quindi il problema è innanzitutto culturale e per superare questa condizione saranno necessarie alcune generazioni. C’è ad ogni modo un abuso di quest’idea. Ad esempio in Emilia Romagna, che è la patria della cooperazione, con la pesca non è che sono messi molto bene. Bisogna anche avere il coraggio, anche politico, di dire: noi siamo in grado di competere se riuscite a farci pagare meno l’energia elettrica, meno i concimi, ad avere delle infrastrutture efficienti, ad avere internet a banda larga anche nelle contrade, così come avviene per i nostri competitors in Spagna. Riuscire ad aggregarci maggiormente sarebbe un valore aggiunto perché aumenterebbe il potere contrattuale; anche se di fatto ormai ogni agricoltore ha a che fare con massimo tre grandi catene distributive”.

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