Laboratori antimafia nell’indifferenza - QdS

Laboratori antimafia nell’indifferenza

Michele Giuliano

Laboratori antimafia nell’indifferenza

giovedì 12 Aprile 2012

I comitati regionali ArciSicilia organizzano 12 campi, inseriti nel progetto “Estate Liberi”, tra aprile e ottobre. La Cgil denuncia la bassa partecipazione dei siciliani causata da scarsa informazione

PALERMO – I campi antimafia sono alle porte: la Sicilia è indiscutibilmente uno dei territori che più organizza questo tipo di iniziative dato l’alto numero di beni confiscati alla mafia. Il problema reale è che sono pochi i siciliani che partecipano.
Per venire sulle terre che furono delle famiglie mafiose, oggi diventate fulcro di attività sociali, partono a migliaia da tutta Italia. Ma di siciliani davvero se ne vedono pochi. A lanciare l’allarme la Cgil, che ha senza mezzi termini denunciato la situazione raccogliendo allo stesso tempo l’opportunità  di lanciare un appello per una partecipazione più massiccia da parte dei giovani siciliani.
Sui terreni confiscati alle mafie, ogni anno dal 2004, l’Arci organizza campi antimafia rivolti a volontari provenienti da tutta Italia. Tra aprile e ottobre 2012 sono in programma 25 campi antimafia di cui 12 in Sicilia.
Ci sarà spazio per ben 700 volontari. Inoltre, ci sarà anche la possibilità di partecipare a 10 laboratori di formazione sul tema dell’antimafia sociale in Sicilia, Puglia, Calabria, Toscana, Lombardia e Liguria. Queste regioni  accoglieranno in totale 200 volontari.
I campi sono curati dai comitati regionali Arci Sicilia e fanno parte del programma “Estate Liberi”. Proprio per esortare alla partecipazione i siciliani, la Cgil ha convocato una conferenza stampa: “è vero – dice il segretario regionale dello Spi Cgil (sindacato pensionati), Saverio Piccione – che ci sono davvero pochi siciliani che ogni anno aderiscono. Credo sia arrivato il momento di dimostrare che anche i siciliani ci tengono al riutilizzo dei beni confiscati per fini sociali. Sappiamo oltretutto quanto sia importante l’aiuto del volontario per portare avanti progetti di questo genere. Un’azienda che lavora su un bene confiscato non ha grandi mezzi economici per cui per tirare avanti ha bisogno di braccia giovani e forti a costo zero. Oltretutto l’esperienza fatta in campi antimafia è davvero unica ed eccezionale”.
Perché giovani siciliani ce ne sono pochi o niente? “Difficile dirlo – aggiunge Totò Bono, segretario della Cgil di Partinico -. Forse c’è un’informazione troppo limitata che non permette ai siciliani di sapere quali progetti ci sono di base. Non vorrei usare certe parole, ma forse c’è anche la paura, ma questo non lo posso sapere con certezza. Fatto sta che anche la Sicilia è chiamata a questo appuntamento ed ha il ruolo in assoluto più importante dal momento che la metà dei campi antimafia organizzati in Italia si trovano proprio nell’Isola”.
Secondo gli organizzatori i campi e i laboratori antimafia si legano in modo indissolubile ai terreni confiscati alla criminalità organizzata, sono la naturale conseguenza della filosofia della confisca: restituire i beni alla comunità, renderli vivi, animarli per azioni di democrazia e giustizia sociale. I luoghi, un tempo simbolo del potere mafioso, non solo divengono liberi e produttivi, ma sono abitati, attraverso l’esperienza dei campi, da centinaia di giovani (e non solo) per quasi tutto l’anno.
 


L’approfondimento. “Vogliamo restare sulla strada di Pio La Torre”
 
Per cercare di convincere i giovani, l’Arci ha stampato un volantino nel quale spiega le ragioni per portare avanti i campi antimafia.
“L’intuizione di Pio La Torre, pagata con il sacrificio della vita, – scrive l’Arci Sicilia – e la legge di iniziativa popolare, supportata da un milione di firme di cittadine e di cittadini, divenuta la ‘109/96’, sono strumenti ancora oggi profetici. Hanno cambiato il modo di lottare contro le mafie. Sottrarre a queste organizzazioni criminali il patrimonio accumulato illecitamente è importante perché combatte la ragione stessa della loro origine e azione. Restituire i beni alla collettività significa allargare la responsabilità. Ma ciascuno deve fare la sua parte per evitare l’isolamento di chi gestisce i beni e proteggere le terre e le abitazioni. Con l’organizzazione dei campi vogliamo restare sulle strade di Pio La Torre e di tutte quelle donne e quegli uomini che non sono rimasti indifferenti. Lo facciamo a modo nostro, favorendo la partecipazione, attivi e responsabili oggi, perché ne siamo convinti. Migliorando il presente, ci assicuriamo il futuro”.

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