Commercio ed edilizia le attività più inquinate dall’illegalità mafiosa - QdS

Commercio ed edilizia le attività più inquinate dall’illegalità mafiosa

Adriana Zuccaro

Commercio ed edilizia le attività più inquinate dall’illegalità mafiosa

giovedì 12 Aprile 2012

Su un totale di 561, la nostra Isola conta 483 aziende in gestione e 78 fuori gestione. Oltre un terzo delle 1.516 aziende confiscate alla Mafia si trova in Sicilia

PALERMO – Il patrimonio e i capitali accumulati fanno della Mafia Spa la prima azienda italiana per fatturato ed utile netto, ed una delle più grandi per addetti e servizi.
Se, come ogni grande impresa, essa stilasse un bilancio annuale ci troveremmo di fronte non solo ad un fatturato da capogiro, ma anche ad utili per decine di miliardi. è uno dei dati che emerge dall’incontro “Contro il racket e l’usura per un’economia libera dal crimine” organizzato a Palermo da Confesercenti Sicilia e Sos Impresa nel corso del quale viene fornita una fotografia aggiornata sul condizionamento della criminalità organizzata sulle imprese. Che il potere delle società mafiose abbia inficiato la forza sociale ed economica di non poche realtà italiane non è una congettura ma, purtroppo, un dato di fatto.
La ragnatela di illegalità che le mafie sono riuscite a tessere nel tempo ha inquinato anche i comparti imprenditoriali più rappresentativi dell’economia del nostro Paese: dalle attività commerciali al settore costruzioni fino ad esercizi alberghieri e della ristorazione.
La sottrazione dei beni aziendali si configura pertanto come una delle strategie di indebolimento della compagine dei capitali sporchi accumulati dal sistema mafioso.
Ecco perché, stando alla seconda relazione sull’attività svolta dall’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC), in costante concertazione con le istituzioni statali, al 31 dicembre del 2011, le aziende confiscate in via definitiva in Italia sono distribuite in 17 regioni e ammontano complessivamente a 1.516. Di queste, con un 74,6%, ben due terzi si trova al Sud, l’8,6% al Centro e il 16,8% al Nord d’Italia. Nonostante la confisca avvenga principalmente in 6 regioni (Sicilia, Campania, Lombardia, Calabria, Lazio e Puglia) dove è presente il 95% del totale delle imprese, come sempre capita quando si indaga qualsiasi forma di attività mafiosa, anche in tema di aziende confiscate è la Sicilia a comparire come prima della lista con un risonante 37%, pari a 561 strutture aziendali.
Tenendo poi conto che oltre la metà del totale delle aziende confiscate è ubicata tra Sicilia e Campania (20,5%), le percentuali attestate nelle altre regioni con più di 100 aziende si riducono al 13,5% per la Lombardia, all’8,9% per la Calabria, al 7,7% per la Puglia e al 7,6% per il Lazio.
Anche il quadro delle aziende in gestione parla chiaro: delle complessive 561, la regione siciliana ne conta 483 in gestione e 78 uscite dalla gestione.
Eppure a dispetto di una possibile procedura di sequestro, confisca, gestione e destinazione, per traslare i dati numerici raccolti dall’ANBSC a una concreta prospettiva del circuito imprenditoriale, viene da chiedersi a quali settori di attività appartengono le aziende iscritte nel “libro nero” dell’Agenzia. Ebbene il 27,84% delle complessive 1.561 aziende confiscate riconduce ad attività di commercio all’ingrosso e dettaglio, riparazione veicoli, beni personali e case. Nella tabella di riferimento, poco sotto si legge un 27,11% delle aziende confiscate precedentemente attive nel mercato delle costruzioni, un più scarso 10,03% relativo ad alberghi e ristoranti. Il resto delle aziende confiscate, anche se in minima parte, riguarda svariati e molteplici settori, il che dimostra quel “potere d’accesso” che le organizzazioni criminali hanno dimostrato di detenere nei confronti di ogni segmento di mercato.
Appare infine altrettanto rilevante la natura giuridica delle aziende confiscate perché mentre quasi la metà consta di società a responsabilità limitata (46,7%), la percentuale mancante conduce alla somma di imprese individuali, società in accomandita semplice e società in nome collettivo (46,5%) e di altre tipologie societarie marginali (6,8%).
Dunque di tutte le aziende confiscate se ne conosce più o meno la storia: l’appartenenza alla mafia, l’ubicazione, il settore d’attività, la ragione sociale. Si spera non tardi ad arrivare il finale tanto atteso in cui le aziende sottratte alla criminalità organizzata verranno, finalmente, restituite alla collettività.
 


Protocollo d’intesa. Riqualificare le ex imprese mafiose
 
È noto quanto sia difficile garantire continuità industriale ed economica alle imprese confiscate alla mafia. Molte rischiano di fallire e chiudere provocando la riduzione di posti di lavoro, tensioni sociali e lo spreco di risorse utili nella lotta al malaffare. Quindi per potenziare e rendere efficaci le risorse disponibili, nel corso del 2011 sono stati siglati diversi protocolli di intesa finalizzati a una specifica e proficua gestione delle aziende confiscate.
Tra questi, l’accordo intrapreso tra Unioncamere e l’associazione Libera comprende anche il cosiddetto “progetto aziende” nell’ambito del quale, insieme all’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, sono state individuate sei aziende attive in Sicilia, Lombardia, Campania, Puglia, Calabria e Toscana, da riqualificare. I dipendenti delle suddette aziende, dopo aver ricevuto un’adeguata formazione manageriale dallo staff di Unioncamere, saranno supportati nella costituzione di una cooperativa alla quale verrà poi affidata a titolo gratuito l’azienda confiscata per la prosecuzione dell’attività di impresa. Il progetto mira dunque anche alla tutela dei livelli occupazionali e alla dimostrazione che i beni confiscati alla mafia possono essere convertiti in fonte di lavoro e sviluppo.

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