Lavorare o prendersi cura dei figli. Un aut-aut per 4 donne su 10 - QdS

Lavorare o prendersi cura dei figli. Un aut-aut per 4 donne su 10

Margherita Montalto

Lavorare o prendersi cura dei figli. Un aut-aut per 4 donne su 10

martedì 17 Aprile 2012

Donne sempre più multitasking: un miracolo riuscire a conciliare professione, famiglia e gestione della casa. Al crescere del livello di istruzione aumenta il ricorso all’astensione facoltativa dal lavoro

PALERMO – L’attuale crisi economica che sta investendo il nostro Paese è avvertita per quanto riguarda il lavoro, non solo dai giovani ma anche dalle donne. La mancanza di lavoro per esse, infatti, diventa problematica soprattutto se hanno a carico figli. Dobbiamo considerare degli aspetti che sono indicativi nel rapporto donna-lavoro-famiglia, ovvero come la donna deve conciliare le tre cose. Una realtà abbastanza complessa se consideriamo che ci sono donne che lavorano full time rispetto a chi invece lavora per otto ore o part time.
 
Il “principio della cura” è sempre stato prerogativa della donna per secoli: il prendersi cura dei figli e della famiglia è ruolo della donna. Nel particolare, il luogo comune vuole che i figli siano accuditi a tempo pieno dalle mamme. Molto spesso però il prendersi cura dei figli in tal senso non è possibile: donne single, divorziate, disoccupazione da parte del coniuge, problematiche improvvise creano la necessità da parte della donna di “dovere” trovare un’occupazione. E i figli? Il punto nodale è questo. La donna che lavora full time è costretta a dovere trovare supporto. I figli trovano appoggio negli asili, nelle palestre, dai nonni, dal tv-sitter o pc-sitter, con relativi disagi. Di fatto, 4 donne su 10 interrompono il lavoro per prendersi cura dei figli.
Secondo le fonti dell’Istat “Le donne sono coinvolte in questo tipo di responsabilità di cura più spesso degli uomini (42,3% contro il 34,5%) e anche per questo risulta più bassa la loro partecipazione al mercato del lavoro.
Tra le madri di 25-54 anni, la quota di occupate è pari al 55,5%, mentre tra i padri raggiunge il 90,6%. Nel Mezzogiorno, dove la partecipazione femminile al mercato del lavoro è molto contenuta, le responsabilità di cura dei figli ha un effetto maggiore sull’occupazione femminile rispetto al Centro-Nord: è occupato il 34,6% delle madri che vivono al Sud o nelle Isole, contro un valore quasi doppio (68,8%) rilevato per quelle che risiedono nel Settentrione”.
“Tra le madri che occupano una posizione lavorativa alle dipendenze il 51,7% ha usufruito del congedo parentale almeno una volta nel corso della vita del figlio minore (il 58% tra le impiegate). Considerando, invece, le madri che svolgono un’attività autonoma, la stessa quota raggiunge appena il 17,1%. I settori in cui risulta più diffuso l’utilizzo del congedo per dedicarsi alla famiglia figurano le donne appartenenti alla Pubblica Amministrazione (68%), il settore dell’istruzione (53,1%, tra le professoresse e le insegnanti il 55,7%) e il settore della sanità (51,3%).
“La nascita di un figlio comporta profondi stravolgimenti nell’organizzazione della vita familiare e lavorativa dei genitori. Sono 702 mila le madri occupate che hanno dichiarato di aver interrotto temporaneamente dopo la nascita del figlio più piccolo l’attività lavorativa per almeno un mese (il 37,5% delle occupate che hanno figli con meno di 8 anni)”.
Stiamo naturalmente affrontando casi di donne con figli senza disagi.
Secondo le statistiche, “l’assenza temporanea dal lavoro riguarda solo una parte marginale di padri, cioè l’1,8% degli occupati con figli con meno di otto anni. A livello territoriale risulta un più diffuso utilizzo del congedo parentale tra le occupate residenti nell’Italia centro-settentrionale (il 48,5% nel Nord e il 46,5% nel Centro, contro il 35,4% nel Mezzogiorno)”.
Tra l’altro la donna “multitasking”, occupata con famiglia è sempre costretta a svolgere i lavori domestici con una media di 9,7 ore alla settimana.
“La percentuale scende al 43,4% (+4% nel decennio) quando la moglie o convivente non lavora, con un impiego medio di tempo da parte degli uomini per le faccende di 8 ore alla settimana. Insomma, oggi c’è un maggiore coinvolgimento dei mariti nella gestione delle attività domestiche, senza che questo abbia scalfito il modello tradizionale centrato sul ruolo decisivo delle mogli in casa”.
Ciò che concorre alla partecipazione al mercato del lavoro, a proposito del tempo dedicato ai figli, è il grado di istruzione soprattutto se è un basso titolo di studio.
Sempre secondo le statistiche Istat “Per le donne con un titolo di studio universitario, i livelli di partecipazione e di occupazione rimangono comunque molto alti in tutti i contesti familiari: la differenza nella quota di occupate tra le donne 25-54enni con figli e il resto delle coetanee non supera i quattro punti percentuali (il 79,4% tra le prime contro il 76,3% tra le seconde).
Al crescere del livello di istruzione aumenta il ricorso all’astensione facoltativa dal lavoro: tra le madri laureate la proporzione di coloro che se ne sono avvalse raggiunge il 48,9% e tra le diplomate il 49,9%, mentre tra le lavoratrici in possesso della licenza media o di un titolo di studio inferiore tale proporzione scende al 29,9%”.

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