La crisi investe anche le raffinerie - QdS

La crisi investe anche le raffinerie

Rosario Battiato

La crisi investe anche le raffinerie

venerdì 11 Maggio 2012

Concorrenza estera e crollo dei consumi causati dai troppi rincari dei carburanti determinano problemi nei tre poli siciliani. A Gela fermati parzialmente gli impianti per un anno, a Priolo prevista una riconversione

PALERMO – Il governo mette mano ai rincari di carburante. La strana spirale dei prezzi – in Sicilia sono mediamente più elevati dell’Italia, che, a sua volta, li ha più alti dell’Europa – ha persino attirato l’attenzione del premier Mario Monti, che ha richiesto, durante i lavori del tavolo tecnico di qualche giorno fa, la riduzione dei prezzi del carburante di almeno 4-5 centesimi al litro, oltre alla riduzione di 2 centesimi già avvenuta. Intanto le ultime stime dell’Unione petrolifera parlano chiaro: il sistema è in seria crisi e diverse raffinerie dovranno chiudere i battenti. In Sicilia a Gela e Priolo ci sono già state le prime avvisaglie di una crisi che ormai dura da troppo tempo.
Se ne parla da oltre un anno, ma stavolta pare che la profezia si stia avverando. Nel lontano febbraio del 2010 era stato proprio Pasquale De Vita, attuale presidente dell’Unione Petrolifera, ad ammettere il rischio chiusura per 5 raffinerie nazionali, con effetto a strascico per circa 7.500 addetti. Un concetto chiaro – la concorrenza estera e il crollo dei consumi tra i fattori determinanti – ribadito e addirittura ampliato lo scorso novembre da Augusto Pascucci, leader della Uilcem (Unione Italiana Lavoratori Chimica Energia Manifatturiero) che ha spiegato come senza una riconversione adeguata sarebbero a rischio tutte le 16 raffinerie d’Italia per circa 40 mila occupati.
Per la Sicilia, che è stata l’Eldorado della raffinazione nei tempi d’oro dell’industria petrolchimica, potrebbe essere una crisi nella crisi senza precedenti. La raffineria di Gela è già un caso abbastanza eclatante. La compagnia petrolifera ha giustificato dai ieri lo stop parziale dell’impianto per 12 mesi a fronte di una contrazione particolarmente significativa della domanda di prodotti petroliferi. Nell’indotto, dove spesso ci sono i lavoratori senza alcuna garanzia di cassa integrazione, lavorano circa 3 mila unità. I sindacati chiedono il rilancio della produzione, preoccupandosi giustamente di salvaguardare l’occupazione, ma senza un’adeguato cambio di registro potranno essere solo palliativi per tappare le falle di una nave che sta colando a picco.
A Priolo (ne parliamo a pagina 8), Eni annuncia investimenti per 350 milioni con lo scopo di riconvertire parte degli impianti.
Gli ultimi dati contenuti in “Previsioni di domanda energetica e petrolifera italiana 2012-2025”, curato dall’Ufficio Rilevazioni ed Analisi dell’Unione Petrolifera, certificano, anche in prospettiva, una situazione di difficile uscita dalla crisi.
I principali risultati  dicono che la “domanda di energia complessiva, che scende ancora nel 2012 (173,9 milioni di Tep), recupera successivamente giungendo ai 179,1 del 2015 e ai 184,5 del 2020”, tornando ai valori dei primi anni 2000. In generale si assisterà ad una riduzione del peso del petrolio che in termini percentuali dovrebbe “passare dal 37% del 2015 al 34,8% del 2025” e al contempo “una riduzione del peso della benzina a tutto favore del gasolio che al 2020 dovrebbe pesare per il 52% nella composizione del barile”.
In proporzione crescerà il peso del gas naturale che al 2025 dovrebbe arrivare a coprire oltre il 39% del nostro fabbisogno diventando dal 2013 la principale fonte di energia. Anche le fonti rinnovabili dovrebbero inserirsi in questo nuovo ciclo, visto che, secondo le stime di Up, al 2025 dovrebbero coprire il 15% del fabbisogno rispetto al 12% attuale.
 

 
Ricadute sui porti. Nell’Isola il 36% del raffinato nazionale
 
PALERMO – La Sicilia vive di petrolio. L’Isola, infatti, ha una capacità di raffinazione da cui dipende l’intera nazione. Qualche cifra per rendere l’idea: il valore della raffinazione al primo gennaio 2010 è stato pari a 43,1 milioni di tonnellate all’anno, mentre le lavorazioni relative a greggio, semilavorati, ossigenati e metano sono risultate pari a 32.826 migliaia di tonnellate. Le cinque raffinerie della Sicilia gestiscono il 36% della materia prima lavorata in Italia.
La regione non interviene soltanto nella porzione intermedia, ma anche in quella iniziale. Oltre sul fronte della produzione – la Sicilia è al secondo posto nazionale per estrazione di idrocarburi, distaccata dall’inarrivabile Basilicata – la Regione è strategica per l’arrivo della materia prima. Il petrolio greggio arrivato nei porti isolani è stato stimato, secondo i dati dell’Osservatorio regionale sull’energia, in 28.760 migliaia di tonnellate, cioè il 24,9% degli arrivi nei porti italiani. E pensare che ci sono realtà portuali, come Augusta e Milazzo, che producono oltre la metà del loro traffico dai prodotti petroliferi.
Insomma, la fine dell’industria petrolchimica isolana potrebbe avere ripercussioni senza precedenti. A patto di ripensare sin d’ora a un nuovo modello di sviluppo.

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