Raffinerie, gli investimenti sono necessari per sopravvivere - QdS

Raffinerie, gli investimenti sono necessari per sopravvivere

Rosario Battiato

Raffinerie, gli investimenti sono necessari per sopravvivere

venerdì 18 Maggio 2012

La chiusura parziale a Gela è lo specchio della crisi del settore, i cui segnali erano noti già due anni fa. Il Pil delle zone interessate, come Siracusa, legate essenzialmente all’export di petrolio

PALERMO – La crisi dovuta alla presenza di nuovi mercati e al crollo della domanda, cui contribuisce una sostanziale assenza di innovazione e sostenibilità ambientale, non coinvolge solo la grande industria automobilistica isolana, vedi caso Fiat di Termini, ma travolge anche il perno dell’export, cioè il sistema dei prodotti petroliferi. Nell’occhio del ciclone c’è Gela, caso balzato alle cronache per la cassa integrazione riservata a 400 dipendenti, ma, più in generale, sono le aree petrolchimiche a segnare un progressivo affossamento.
L’unica prospettiva resta l’investimento per evitare il tracollo, se non è già troppo tardi. “Bisogna immediatamente sbloccare le autorizzazioni per gli investimenti nell’area industriale di Gela, – ha dichiarato Claudio Barone, segretario generale della Uil – a partire dalla diga foranea e sino all’intero sistema portuale”. Salvare Gela puntando sull’innovazione potrebbe essere un segnale per l’intero comparto siciliano che da oltre un decennio continua ad annaspare. “Il Governo regionale deve, adesso, dimostrare di avere cambiato rotta – ha proseguito il sindacalista – e di volere tutelare uno dei siti più importanti e produttivi dell’Isola”. Salvare i 400 dipendenti della raffineria in cassa integrazione significherebbe, insomma, aprire uno spiraglio su tutto il sistema. Chiamata in causa la Regione. “Solo se dimostrerà – ha concluso Barone – di volere difendere gli insediamenti produttivi sarà possibile un futuro a Gela. Occorre, quindi, garantire investimenti e un accesso agli ammortizzatori sociali per tutti i lavoratori”. Stessa richiesta dall’Ugl.
La crisi petrolifera coinvolge una delle fetta più rilevanti dell’economia isolana. Oltre Gela anche il caso Siracusa – altra area a rischio – è un esempio lampante. Nel polo aretuseo del triangolo Priolo-Melilli-Augusta, secondo dati Confindustria Siracusa, vengono raffinati oltre 25 milioni di tonnellate di greggio, pari al 26% del greggio raffinato in Italia e al 74% del greggio raffinato in Sicilia. Anche i dati sull’export sono esorbitanti: 15 milioni di tonnellate di prodotti petroliferi pari al 45% delle esportazioni italiane del comparto e all’85% di quelle regionali. Il Pil siracusano vive in funzione delle esportazioni di prodotti petroliferi, le quali sono cresciute più intensamente che nel resto del paese (da 6.277 milioni di euro del 2010 a 8.285 milioni di euro del 2011 con una variazione positiva del 31%).
In generale l’Isola ha rappresentato per anni la punta di diamante della raffinazione italiana. Quando il mercato funzionava si stava bene, inquinamento a parte, ma ora la crisi internazionale rischia di trascinare nel baratro l’intero sistema regionale che detiene una raffinazione che al primo gennaio 2010 è stata quantificata in 43,1 milioni di tonnellate all’anno, mentre le lavorazioni relative a greggio, semilavorati, ossigenati e metano sono risultate pari a quasi 33 mila migliaia di tonnellate. Le cinque raffinerie della Sicilia gestiscono il 36% della materia prima lavorata in Italia.
Difficilmente se ne potrà uscire. Gli ultimi dati contenuti in “Previsioni di domanda energetica e petrolifera italiana 2012-2025”, curato dall’Ufficio Rilevazioni ed Analisi dell’Unione Petrolifera, certificano che la “domanda di energia complessiva, che scende ancora nel 2012 (173,9 milioni di Tep), recupera successivamente giungendo ai 179,1 del 2015 e ai 184,5 del 2020”, tornando ai valori dei primi anni 2000.

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