L'editoriale del Direttore di Carlo Alberto Tregua
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Feb
14
2012
Canone Rai, non tributo ma balzello
Lo spot martellante che la Rai ci propina da quasi due mesi afferma che il canone è un tributo che obbligatoriamente va pagato. La comunicazione è destituita di fondamento sul piano sostanziale. È vero che il canone è stato reso obbligatorio per legge, ma esso va nelle casse della Rai per il servizio pubblico che rende ai cittadini. Tuttavia, per lo stesso servizio pubblico la Rai è costretta a fare una convenzione con il ministero dell’Economia. A che serve la legge? Questo giro vizioso è motivato, secondo alcuni, dalla impossibilità della Rai di collegare servizio pubblico e canone.
Vi sono altre incongruenze in questa faccenda. Il fatto che oltre al canone la Rai incassi la pubblicità e quindi si comporti come una televisione commerciale. La miscela fra servizio pubblico e attività commerciale è indebita e crea uno stato di confusione, la classica zona grigia e opaca che consente di nascondere comportamenti irregolari, se non illeciti.
È vero che nel Regno Unito e in Francia si paga un canone per la tv pubblica, ma la Bbc non raccoglie pubblicità, mentre Tf1 ha un rigido tetto pubblicitario. è nitido il limite fra servizio pubblico e attività commerciale.
Il servizio pubblico non ha bisogno di audience, perché ha il dovere di informare e formare radio e telespettatori, quindi ha una funzione culturale di traino sulla comunità nazionale. La televisione commerciale, invece, deve fare audience, perché non ha alcun altra fonte di entrata finanziaria. I due enti sono, come si vede, su versanti opposti. La prima serve i cittadini, la seconda serve se stessa e consegue utili, (forse) avendo una finalità economica. La miscela delle due attività avviene solo in Italia, il Paese dei furbetti.
Miscelare il diavolo e l’acquasanta è una specialità della Pubblica amministrazione e possiamo considerare la Rai Pubblica amministrazione. I giornalisti che vi lavorano non sanno con precisione se stanno svolgendo un servizio pubblico o un’azione di supporto all’attività commerciale. Tanti bravissimi professionisti sono in prima linea, ma tanti altri, per niente bravi, si nascondono dietro scrivanie o addirittura vengono distaccati impropriamente in altri uffici.
Si dice che la Rai sia un carrozzone, perché ha 11 mila dipendenti e circa 2 mila giornalisti fra la sede centrale, quelle periferiche, le altre internazionali e le sedi regionali. Il numero di per sé non è estremamente elevato, ma certo non possiamo nascondere che il concorrente Mediaset abbia meno di 4 mila dipendenti.
Questo scenario dovrebbe indurre il governo Monti a intervenire, come sembra che ne abbia intenzione, per riformare questo ente che ha la forma giuridica di società per azioni, ma si comporta come una struttura pubblica, il che è una contraddizione evidente.
La possibile riforma dovrebbe esser fatta sul modello delle già citate Tf1 e Bbc, vale a dire un canale solo di servizio pubblico e gli altri due commerciali. Ma, mentre il primo dovrebbe reggersi esclusivamente con il canone, gli altri dovrebbero sostenersi solo con la pubblicità. Il meglio sarebbe che i due canali commerciali venissero venduti sul mercato a soggetti che non possiedono, né direttamente né indirettamente, partecipazioni in altre televisioni.
In ogni caso, la struttura di vertice è veramente paradossale, con un Consiglio di amministrazione ripartito fra le diverse parti politiche, i cui membri sono di solito espressi in maggioranza dalla maggioranza parlamentare e per il resto dall’opposizione. Poi c’è un organo di vigilanza parlamentare che deve giudicare se la tv si comporta in maniera obiettiva, se i suoi servizi siano obiettivi o meno. Ma si tratta palesemente di un doppione dell’Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) che di per sé vigila sulla tv.
Il nostro Paese è un campione per complicare le cose, ma non si tratta di stupidità, bensì di volontà precisa, perché moltiplicando pani e pesci si accontentano tanti trombati politici, amici degli amici ed altri, con ricche indennità e privilegi di ogni genere.
La Rai è stata oggetto di intenzioni riformatrici da parte di tanti Governi negli ultimi trent’anni, ma nessuno è riuscito a spostare una virgola. Salvo ripartire l’influenza dei blocchi politici, come accadde negli anni ‘80 fra Dc, Pci e Psi.