Talassemia, standard terapeutici di qualità, ma da soli non bastano - QdS

Talassemia, standard terapeutici di qualità, ma da soli non bastano

Margherita Montalto

Talassemia, standard terapeutici di qualità, ma da soli non bastano

martedì 10 Luglio 2012

Intervista a Vincenzo Caruso, Direttore U.O.D. Talassemia ARNAS Garibaldi di Catania. Carenza di donatori di sangue: senza terapia trasfusionale non c’è speranza

CATANIA- I numeri e i fatti parlano più che chiaramente. Tanti, troppi talassemici in cura presso l’Unità Operativa di Talassemia dell’Ospedale Garibaldi (e sicuramente anche negli altri Centri) restano in questi giorni senza la dovuta terapia trasfusionale come previsto dal protocollo di cura e cioè una-due sacche di sangue ogni 10-20 giorni. Non c’è altro da fare in questi casi che attendere. La necessità che può diventare emergenza, sebbene alcuni di loro attivino amici, qualche conoscente, la risposta è solitamente insufficiente a risolvere il problema. Poi, bisogna ancora  attendere, e i talassemici, intanto, cominciano a stare male, l’anemia si acuisce e la trasfusione tarda a venire.
“Due-tre giorni, una settimana di ritardo e anche due per i più sfortunati, quelli con gruppo Rh negativo” spiega il direttore U.O.D. Talassemia ARNAS Garibaldi di Catania, Vincenzo Caruso.
Cosa fare?
“Occorre diventare donatori di sangue, facendo quel salto necessario per se stessi – solidarietà come stile di vita e tutela della propria salute, perchè donare il sangue permette un periodico controllo dello stato di salute, un vero programma di medicina preventiva – e per l’intera città, che non deve chiedere ad altri la soddisfazione dei fabbisogni di salute dei propri cittadini. Sarebbe troppo bello, ma forse perchè appunto troppo, se ogni anno non parlassimo più di questi problemi di carenza di sangue in estate e non solo per i talassemici, ma anche per tutta la collettività” continua Caruso.
Resterà un sogno irrealizzabile, che poi sogno non è, perché si parla di qualità di vita?
“Oggi grazie alla rete dei Centri che copre l’intera Regione viene assicurata ai quasi 2500 pazienti talassemici e drepanocitici un’assistenza e standards terapeutici di ottima qualità. In particolare, negli ultimi 15-20 anni il cambiamento della storia naturale della talassemia, con drastica riduzione della morbosità e della mortalità (molti pazienti hanno oggi più di 50 anni) e il netto miglioramento della qualità di vita pressocchè sovrapponibile a quello della popolazione sana, è fondamentalmente da attribuire oltre che all’adozione di programmi trasfusionali adeguati (ma regolari, se si vuole che siano veramente efficaci, per quantità di sangue e per intervalli di 15-20 giorni, tra una trasfusione e l’altra), all’introduzione di farmaci capaci di allontanare il ferro che si accumula con trasfusioni, ed alla possibilità mediante la Risonanza magnetica nucleare per Immagini con tecnica T2, di quantificare precocemente gli accumuli di ferro in diversi organi (cuore e fegato principalmente) e di guidare efficacemente la stessa terapia ferrochelante”.
In Italia sin dal 2006 è stato avviato il MIOT (Myocardial Iron Overrload in Thalassemia) network, divenuto elemento attivo di questa storia mettendo in rete 8 centri di RM che hanno standardizzato le proprie procedure di acquisizione garantendo più di 1000 esami per anno e 66 centri italiani di talassemia che hanno deciso di condividere le proprie valutazioni clinico-strumentali (non solo di RM) in un database via web. Come centro coordinatore il CNR di Pisa, e a seguire i centri di risonanza di Catania, presso l’ARNAS Garibaldi, di Palermo al Policlinico universitario, di Ferrara, Roma, Campobasso, Ancona e Lamezia Terme.
Un impegno, da parte del singolo e dei tanti pazienti che possono andare avanti nella vita grazie alla generosa e periodica donazione del sangue di sconosciuti donatori di sangue – e sono quasi 2000 i pazienti siciliani con le varie forme di talassemia e di drepanocitosi che richiedono terapia trasfusionale – a contribuire alla lotta contro i pregiudizi, l’ignoranza e la paura dell’ago ancora oggi così diffusa in tanti giovani, assicurando nel contempo nel donatore periodico di sangue ed emocomponenti un elevato standard di medicina preventiva.
Senza la trasfusione di sangue, un bambino con talassemia non riesce a raggiungere i 10 anni di età! “E invece, oggi, spiega Cartuso, la vita media di un paziente talassemico è di oltre 30 anni (e siamo anche oltre 50 anni!), grazie alla terapia trasfusionale eseguita regolarmente ogni 15-20 giorni e alla contemporanea terapia di rimozione del ferro (trasfusionale) che diventerebbe tossico per organi come il cuore, fegato e ghiandole endocrine se si accumulasse a dismisura. Come istituzioni e come operatori di un Centro di Medicina Trasfusionale e di un Centro di diagnosi e cura di Talassemia, occorre infine mettere in atto, anche progressivamente ma con fermezza, tutti quegli accorgimenti che rendono ottimale una terapia trasfusionale nella popolazione talassemica. Lo hanno dimostrato studi scientifici ed esperienze varie in tanti centri trasfusionali (come a Ragusa), dove è stata realizzata per i pazienti talassemici una selezione delle unità di sangue da trasfondere con alto contenuto emoglobinico, così da ottenere una migliore efficacia della trasfusione stessa e un aumento conseguenziale del numero di giorni (intervallo trasfusionale) prima della prossima trasfusione, unitamente alla minore manipolazione possibile dell’unità di sangue per il necessario processo di filtrazione (riservando il lavaggio a particolari casi), così da assicurare una migliore vitalità e durata dei globuli rossi trasfusi”-dice Caruso.
Questi obiettivi sono, dunque, comuni ai pazienti e ai centri di Talassemia e Trasfusionale e vanno perseguiti con determinazione. Ne conseguirà un risparmio di sacche trasfuse per anno e un minor numero di accessi ospedalieri/anno per la terapia trasfusionale per ogni singolo paziente come vuole la best pratice delle Raccomandazioni delle società scientifiche e del TIF (Thalassemia International Federation).

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