Manca un progetto di crescita per la Sicilia - QdS

Manca un progetto di crescita per la Sicilia

Giovanna Naccari

Manca un progetto di crescita per la Sicilia

venerdì 03 Agosto 2012

Forum con Claudio Barone, segretario generale Uil Sicilia

La Sicilia è sull’occhio del ciclone per i suoi conti regionali e per l’incapacità di spendere i fondi Ue. Lei che idea si è fatto?   
“Sulla vicenda anche il nostro sindacato ha espresso una preoccupazione. Penso che l’idea di un commissariamento, ipotizzato nelle scorse settimane per spendere i fondi della comunità europea, non sarebbe impensabile e l’ho detto in tempi non sospetti. Perché il governo regionale, sin dal suo insediamento, non è mai riuscito ad aggregare la macchina amministrativa sulla spesa dei fondi europei. E, più recentemente, si è verificata la drammatica vicenda dei 600 milioni non spesi. Ma quello che è più grave, secondo me, è il non riuscire mai a capire chi è il responsabile di questo cattivo funzionamento. Se è evidente che la macchina regionale non funziona bene sulla spesa dei fondi comunitari, come abbiamo visto altre volte su segnalazioni dell’Ue, qualcuno deve pur governare il settore. Invece, l’altra ipotesi di cui si è discusso, ovvero il commissariamento di tipo politico, oggettivamente mi preoccupa perché sembra la comoda soluzione di un ceto politico che ha responsabilità solidali, in primo piano il precariato, ma vuole liberarsene scaricando le responsabilità su qualcuno che viene dall’esterno”.
Al di là delle emergenze finanziarie, cosa blocca lo sviluppo della Sicilia?
“Al di là dei gravi problemi finanziari, quello che ancora non si è capito e che la Sicilia è ferma a causa della mancanza di un’idea di sviluppo rispetto ad un mondo in continua trasformazione. Qui non c’è nulla, c’è solo il vuoto pneumatico. Tutti dicono che bisogna creare lo sviluppo produttivo, ma fino ad oggi questo non è avvenuto. E intanto le grandi aree industriali stanno chiudendo, su Termini Imerese non ci sono ancora progetti concreti e nemmeno si fanno ragionamenti che vanno al di fuori del settore delle auto. Una possibilità, quest’ultima di cui dovremmo cominciare a tenere conto. Nel clima di incertezza politico e finanziario nel quale viviamo, mi chiedo perché gli imprenditori dell’estero dovrebbero prendere in considerazione la possibilità di fare impresa in Sicilia”.
Sono solo questi i  problemi?
“No, i problemi sono tanti. Cominciamo da quelli strutturali. Una realtà delle più evidenti è la totale incertezza degli iter autorizzativi che non ci danno credibilità all’estero per attrarre investimenti. L’esempio più eclatante e devastante a livello internazionale che ci sta danneggiando riguarda la storia dei rigassificatori. Penso all’area di Priolo e di Porto Empedocle. Nonostante i rigassificatori rappresentino il futuro per un paese industrializzato che non può guardare solo al petrolio per le criticità che conosciamo e che ha bisogno di fonti alternative, la Sicilia non dà risposte certe da anni agli investitori che hanno già speso milioni di euro per la loro realizzazione. In questo modo veniamo percepiti come un rischio enorme per chi vuole investire. L’altro problema è l’assenza di un tessuto industriale intermedio in grado di bilanciare la fine dei grandi insediamenti industriali. Il nostro modello è stato caratterizzato da cattedrali nel deserto. L’imprenditoria è un’imprenditoria autoctona che, fondamentalmente, non opera sui mercati, ma sulla base della ripartizione delle commesse della pubblica amministrazione con la lodevole eccezione del settore edilizio che, però, è legato ai cicli della spesa. Non c’è un tessuto forte di media impresa e quando collassano i grandi gruppi non sappiamo come produrre lavoro e reddito”.
 
Come uscire dallo stallo?
“Dovremmo attrarre investimenti dall’estero per l’industria e cercare di sviluppare intorno un indotto che vada al di là delle semplici manutenzioni. L’altra questione riguarda la logistica. Oggi abbiamo una grande opportunità legata alla ricerca degli scali per le merci provenienti dalla Cina, dall’India e dal Medioriente e diretti verso i mercati europei. In Sicilia abbiamo il porto di Augusta strutturalmente idoneo a rispondere a queste esigenze. Potremmo sviluppare questa idea su Augusta e creare nello stesso luogo anche attività economiche come la lavorazione dei prodotti. L’altro tema riguarda le infrastrutture e una rete di collegamenti per favorire il turismo, oltre alla banda larga”. 
Dove colloca la formazione?
“La formazione è fondamentale perché tra dieci anni sarà l’indicatore di crescita di un Paese. Dobbiamo migliorare la qualità formativa e la conoscenza dell’inglese che, nei servizi, credo non superi l’1% della popolazione. Questo ci rende isolani e isolati”.
E la sanità? 
“I tagli fatti alla sanità non sembrano idonei. Abbiamo una sanità che ha punte d’eccellenza, ma è di difficile accesso per le lunghe attese. In questo modo viviamo una contraddizione perché da un lato abbiamo le richieste dei paesi del Mediterraneo e, dall’altro, i siciliani che si curano fuori con i costi per la  Regione”.
 
Qual è l’organizzazione territoriale?
“Abbiamo un segretario regionale, che a Palermo coincide con quello provinciale, e 8 segretari suddivisi nelle rimanenti province. La nostra organizzazione è divisa in quindici categorie alle quali aderiscono i lavoratori, al momento dell’iscrizione e secondo il loro settore”.  
Quanti sono gli iscritti e quali le richieste?
“Abbiamo chiuso il 2011 con 220 mila iscritti certificabili, di cui 80 mila pensionati. Abbiamo un trend di crescita sia nelle iscrizioni sia nei servizi. Dai nostri iscritti arrivano fondamentalmente due richieste, ovvero la tutela sindacale nei posti di lavoro e la validità dei servizi. Su tutti e due fronti stiamo ottenendo buoni risultati. Abbiamo i migliori contrattualisti in campo e infatti ci siamo resi conto che l’adesione, più che per motivi ideologici, avviene perché il sindacalista è preparato sui contratti ed ha capacità di concertazione. Inoltre, anche se l’offerta dei servizi al pubblico non era nella nostra tradizione, in questi anni siamo riusciti abbondantemente a recuperare questo ramo di attività. Oggi, per esempio, copriamo la metà dei comuni della provincia di Palermo. Abbiamo verificato anche una crescita delle attività del Caf”. 
Come giudica la riforma del lavoro? 
“Sull’articolo 18, che è il tema che ha catturato maggiormente l’attenzione, potrei dire che si è fatto molto rumore per nulla, anche se un effetto c’è stato e negativo. Mentre prima avevamo una norma discutibile, ma almeno la conoscevamo, oggi i meccanismi sono infernali e poco chiari. E anche sugli esodati ci sono molti casi di difficile soluzione perché singoli e differenti l’uno dall’altro. La riforma mi sembra timida e inefficace”.
 

 
Curriculum Claudio Barone
 
È nato a Palermo il 12 giugno 1956. Ha una laurea magistrale in Scienze della Politica, indirizzo giuridico-economico, titolo che ha conseguito alla Seconda Università di Napoli. Nel 1978 è componente di segreteria della Uil metalmeccanici di Palermo di cui diventa segretario generale dal 1982 al 1993. Dal 1993 al 2000 è segretario generale della Uil di Palermo. Nel 2000 viene eletto segretario generale della Uil Sicilia. Rieletto più volte alla segreteria regionale, viene riconfermato nell’ultimo congresso svoltosi nel 2010.

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