Le mani sul Mare nostrum. Il governo sta con i petrolieri - QdS

Le mani sul Mare nostrum. Il governo sta con i petrolieri

Rosario Battiato

Le mani sul Mare nostrum. Il governo sta con i petrolieri

venerdì 31 Agosto 2012

A rischio anche le aree protette nei cui limiti potrebbero essere piantate le trivelle off shore. Nel mirino il Canale di Sicilia dove sono stati intercettati importanti giacimenti

PALERMO – Le mire dei colossi petroliferi sul mare nazionale non si fermano. A maggior ragione adesso che hanno trovato uno sponsor d’eccezione in Corrado Passera, ministro dello Sviluppo economico, che già da tempo ha dichiarato di puntare sulle fonti fossi per rimpinguare la bassa produzione energetica nazionale. Una prospettiva in controtendenza rispetto all’Europa, dove si investe sulle rinnovabili e non si offre il patrimonio naturale alle potenti trivelle delle compagnie straniere.
Legambiente ha offerto un quadro completo della situazione nazionale nel dossier Trivelle Selvagge. Ad oggi ci sono 9 piattaforme petrolifere attive sulla base di concessioni che riguardano 1.786 kmq di mare che coinvolgono tratti di mare in Adriatico, a largo della costa abruzzese, marchigiana e di fronte a quella brindisina e nel Canale di Sicilia. Una situazione che potrebbe peggiorare a breve perché le incessanti richieste dei colossi del petrolio di avere altre porzioni di mare da trivellare si sposano perfettamente col piano energetico del ministro Passera.
E proprio da Roma arrivano gli aiuti. Il decreto Sviluppo varato dal governo Monti permette per la prospezione, e solo per i procedimenti avviati in data anteriore al 26 giugno 2012, “un finanziamento – ricordano da Legambiente – con contributi statali nella misura non superiore al 40% dei costi dei rilievi geofisici sostenuti dalle compagnie”.
Ma i regali non si fermano. Lo stesso decreto Sviluppo agisce anche sulle aree protette, e in particolare nel Canale di Sicilia al momento ci sono 11 permessi di ricerca rilasciati per un totale di 6815 kmq. Le regine del mare sono la Shell Italia Ep e la Northern Petroleum Ltd con 7 permessi di ricerca attivi, di cui 6 interessano soprattutto le isole Egadi per un totale di 4368 kmq. Il provvedimento del governo permette che possano piazzarsi trivelle fino al limite dell’area marina, soggetta a vincolo con l’entrata in vigore del Dlgs 128/2010, perché il decreto Sviluppo salva tutte i permessi e le istanze presentate prima del giugno 2010.
A preoccupare gli ambientalisti sono anche le 18 richieste di permessi di ricerca per oltre 5mila kmq nel Canale di Sicilia. Legambiente ne fa un elenco preciso: 3 si trovano in fase decisoria per un totale di 408 kmq, di cui 2 localizzate a largo delle isole Egadi e 1 a sud di Capo Passero (SR).
Sono 9 le istanze in corso di valutazione ambientale per 2950 kmq di area marina interessata: 2 a largo della costa trapanese, 1 nel Canale tra Marsala (Tp) e Pantelleria, 2 a largo di Gela (Cl), 1 di fronte la provincia di Ragusa e le ultime 3 di fronte la costa di Agrigento, 6 istanze (per 1903 kmq) si trovano ancora nella fase iniziale dell’iter autorizzativo (fase pre Cirm) e di queste 2, presentate una da Northsun Italia e l’altra dalla Petroceltic Italia, si trovano a largo della costa di Gela e sono al momento in corso di adeguamento del perimetro per effetto del Decreto 128/2010. Un’altra istanza della Nautical Petroleum è situata a largo della costa di Pozzallo (Rg) mentre 3 istanze si trovano a largo della costa di Mazara del Vallo (due sono della Northern Petroleum e una della Audax Energy per un totale di circa 1506 kmq).
 


Trivelle e petroliere, come viene inquinato il Mediterraneo
 
PALERMO – Le trivelle rappresentano un’ulteriore soglia di pericolo per l’antico Mare nostrum, che ha col petrolio un rapporto tanto stretto quanto pericoloso. L’ultimo rapporto Ispra sugli sversamenti a mare nel Mediterraneo certifica come ogni anno si verifichino in media 60 incidenti di varia intensità, 15 dei quali riguardano navi che provocano sversamenti a mare di petrolio e sostanze chimiche. Ancora più raccapricciante il quadro dell’ultimo quarto di secolo: 27 incidenti rilevanti con uno sversamento complessivo di oltre 270.000 tonnellate di idrocarburi.
“Fra il primo agosto 1977 ed il 31 dicembre 2010, – si legge nel dossier Ispra sugli sversamenti a mare di idrocarburi – circa 312.000 tonnellate di petrolio sono state sversate nel Mediterraneo a seguito di 545 incidenti. D’altra parte, non sono stati considerati 75 incidenti in cui la quantità di petrolio sversata rimane sconosciuta”. Il pericolo deriva principalmente dalle navi petroliere che attraversano le acque isolane facendo tappa nei porti di Augusta, Milazzo e Santa Panagia. C’è già tutto un sistema che mette a rischio il mare isolano, e le trivelle ne sono un’ulteriore minaccia presente e potenziale.
 

 
L’Isola delle trivelle, qui si estrae di più soltanto perché conviene
 
PALERMO – I numeri dicono che l’Italia è già circondata. Al turismo ecosostenibile e alla produzione alternative il governo ha preferito la strada del petrolio, che, tra le altre cose, non potrà colmare più di tanto le richieste nazionali. Il Paese resterebbe in ogni caso assai dipendente dall’estero.
Il petrolio nazionale è comunque ancora più scarso di quello disponibile altrove e questa estrema disponibilità del governo sembra solo un modo per favorire le compagnie straniere (in Italia le royalties sono passate dal 4 al 7%, mentre altrove oscillano tra il 20 e l’80%), che vengono nel nostro mare non tanto per la quantità di petrolio, ma semplicemente perché è più conveniente. Nel 2011 in Italia sono stati estratti 5,3 milioni di tonnellate di petrolio, di cui 640mila tonnellate dai fondali marini. Nei mari italiani ci sono 9 piattaforme marine di estrazione petrolifera, equipaggiate con 68 pozzi e localizzate nell’Adriatico centro meridionale e nel Canale di Sicilia. Andando in dettaglio, secondo il dossier Trivella Selvaggia di Legambiente, ci sono 2 trivelle a largo delle coste marchigiane tra Civitanova Marche e Porto San Giorgio (piattaforma Sarago mare 1 e Sarago mare A, con 4 pozzi), 3 di fronte l’Abruzzo tra Vasto e Ortona (Ch) (piattaforma Rospo mare A, B e C, con 29 pozzi), 3 nel Canale di Sicilia tra Gela e Ragusa (piattaforme Gela, Perla Prezioso, Vega A, per un totale di 33 pozzi) e 1 a largo di Brindisi (piattaforma Aquila, con i suoi 2 pozzi estrae in maniera non continuativa: era ferma nel 2011, ha ripreso l’attività nei primi due mesi del 2012 per poi fermarsi di nuovo).
Nel Canale di Sicilia, con le piattaforme Gela, Perla Prezioso e Vega A, c’è l’area marina oggetto di poco della metà delle estrazioni e infatti nello stesso luogo abbondano i permessi di ricerca (11 su 19 rilasciati in tutta Italia). In attesa ci sono anche le richieste per ottenere le concessioni di coltivazione dei giacimenti perché il petrolio è stato effettivamente trovato. Ben tre, su un totale di sette, si trovano nel Canale di Sicilia, dove ci sono le due di Eni di fronte a Licata e una di Agip/Edison a ridosso dell’Isola di Pantelleria.

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