Beni confiscati alla mafia: rischio default - QdS

Beni confiscati alla mafia: rischio default

Michele Giuliano

Beni confiscati alla mafia: rischio default

martedì 18 Dicembre 2012

In Sicilia la quasi totalità delle imprese che gestiscono questi immobili tolti alla criminalità, va in fallimento. Mobilitazione di sindacati e associazioni che voglio rilanciare il settore con un ddl popolare

PALERMO – Il 90 per cento delle aziende confiscate alle mafie (1.636 su tutto il territorio nazionale di cui 614, cioè il 37 per cento nell’Isola) in Sicilia fallisce, i lavoratori coinvolti finiscono licenziati (si stima circa 70 mila persone) e secondo la modifica della normativa targata Fornero non possono neanche usufruire di ammortizzatori sociali. A questi numeri si aggiungono quelli delle imprese sequestrate.
Per fare fronte a questa situazione consentendo l’emersione alla legalità, il rilancio di queste imprese e la tutela dei lavoratori, la Cgil, Libera, L’Arci, l’Anm, la Legacoop, Avviso pubblico e il Centro Pio La Torre intendono presentare al prossimo Parlamento nazionale un ddl di iniziativa popolare che punta a colmare le lacune dell’attuale legislazione e a rimuovere gli ostacoli che impediscono la sopravvivenza sul mercato delle aziende “bonificate”, tra cui i lunghi tempi di riassegnazione.
“Bisogna dare il segno con forza – ha detto Antonio Riolo, segretario della Cgil Sicilia – del fatto che lo Stato c’è e attraverso lo Stato si lavora e si produce nella legalità”. L’iniziativa è stata presentata dagli esponenti siciliani del comitato promotore che hanno avviato la raccolta di firme su scala nazionale e si prevede di concluderla il 3 giugno prossimo. Solo in Sicilia l’obiettivo è di 40 mila sottoscrizioni. In questi 6 mesi saranno tante le iniziative di sensibilizzazione sul tema messe in campo. “L’obiettivo – ha affermato Riolo – è riattivare i canali della legalità economica e tutelare i lavoratori, restituire i patrimoni mafiosi alla collettività e garantire e dare dignità al lavoro”. E per fare questo, secondo i promotori del ddl, occorre fare sì che le imprese possano sopravvivere e i lavoratori continuare a lavorare. Tra le proposte del ddl c’è allora “la creazione di un fondo ad hoc per garantire linee di credito – ha affermato Francesco Cantafia, della Cgil Sicilia – concesse dalle banche fino al giorno prima del sequestro ma poi negate”.
C’è anche la premialità fiscale per chi investe in queste aziende, ma anche il reinvestimento delle liquidità sequestrare e confiscate per garantire ai lavoratori gli ammortizzatori sociali in attesa del rilancio delle aziende. Viene affrontato il capitolo della formazione, ma anche quello della creazione di una cabina di regia. Certamente sul piano della trasparenza qualche piccolo passo in avanti in Sicilia è stato fatto. Da giugno è online all’indirizzo internet www.patrimoniodeisiciliani.it, il nuovo sito della Regione siciliana sui beni sequestrati alla mafia e trasferiti al patrimonio regionale.
Il sito contiene dati e documenti relativi ai 32 beni assegnati alla Regione siciliana dal 30 novembre 2010 ad oggi per un valore di circa 10 milioni di euro. Poi ogni Comune dovrebbe nel proprio sito internet inserire i beni confiscati di proprietà, in gestione e ancora da assegnare. Sotto questo punto di vista però non tutti i Comuni siciliani lo fanno. Ma questa è un’altra storia.
 


Si pensa alla creazione di un ufficio attività produttive
 
L’idea cardine che percorre il ddl è quella di creare un ufficio attività produttive presso l’agenzia dei beni confiscati. In questo modo si vuole puntare a garantire “la massima trasparenza di tutti i processi che – ha detto Vito Lo Monaco del centro Pio La Torre – vanno seguiti non secondo una visione di mera contabilità ma d’immediato riuso sociale, sapendo che anche attraverso questa strada si misura lo spessore antimafia dei governi”. Della necessità di allargare il fronte delle adesioni all’iniziativa ha parlato Umberto Di Maggio, di Libera; del ruolo delle coop hanno invece discusso Filippo Parrino e Calogero Parisi dell’Arci che hanno sottolineato la  volontà di fare vivere l’iniziativa in quanti più contesti possibili. La segretaria della Cgil di Trapani, Mimma Argurio, ha invece sollevato il tema della necessità di selezionare gli amministratori giudiziari con le dovute eccezioni: “Da tenere sott’occhio, manager sottocosto – ha detto – che disconoscono le relazioni sindacali e hanno come unico obiettivo quello di fare business”. Oggi il 45 per cento delle imprese confiscate è del settore terziario, il 27 per cento dell’edilizia, “segno – ha rilevato Cantafia – che la mafia si concentra dove c’è liquidità per rimettere in circolo ripulendolo il denaro sporco”.

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