Senatore Fleres, giorno 5 dicembre il guardasigilli Paola Severino ha firmato il Decreto ministeriale contenente le disposizioni relative alla consegna della Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti e degli internati. In un sistema carcerario, che tende poco al reinserimento sociale dei detenuti e molto alla negazione della loro persona, la Carta secondo Lei avrà effetti sostanziali o meramente formali?
“Invece della Carta dei diritti dei detenuti, che è la sintesi delle principali disposizioni già contenute, quanto disattese, nell’ordinamento penitenziario, risalente al 1975, il Ministro Severino avrebbe fatto bene a riconoscerli fino in fondo, quei diritti, e non a limitarsi a trascriverli in bella, quanto costosa, veste grafica, al solo scopo di ottenere un po’ di rilievo sulla stampa. La sua é una semplice operazione di marketing del tutto inutile, quanto pomposamente annunciata, insomma un’ennesima offesa alla dignità di chi, in carcere, continua a vedere travolta la propria dignità di uomo. Di carte dei diritti dei detenuti, come quella spacciata dal Ministro Severino come una novità rivoluzionaria nel sistema carcerario italiano, ne esistono almeno un centinaio predisposte, negli anni, senza tanto clamore di stampa, dai Garanti dei diritti dei detenuti e dalle numerose ed attivissime associazioni di volontariato penitenziario, che ogni giorno si battono perché la legge 374/75 e l’art. 27 della Costituzione vengano rispettati e non solo proclamati.
Insomma, quella del Ministro più che una "Carta" mi sembra una cartaccia!"
“A parte che in Sicilia potrebbero trovare posto, al massimo, 4.600 reclusi circa, e che il sistema penale italiano potrebbe tranquillamente essere definito, con un tetro neologismo "carcerogeno", credo che la domanda sia assolutamente pertinente e contenga già la risposta: si! La trovata della carta dei diritti dei detenuti, mentre giace nei cassetti del Senato la riforma del codice penale e l’ampliamento del sistema delle pene alternative, é un modo per perdere (o prendere) tempo, nella più assoluta incapacità di individuare soluzioni adeguate non a svuotare estemporaneamente le carceri ma ad evitare che continuino a riempirsi. Chi lo dice che l’unica pena possibile sia quella detentiva? Chi lo dice che un cittadino debba pagare solo con una costosa (per l’erario) detenzione (da 130 a 250 euro al giorno) e non anche con il proprio denaro o con un lavoro compensativo di tipo socialmente utile?
In altri Paesi europei e non, questo genere di pene é diffusissimo ed efficacissimo, non si capisce perché in Italia, la patria di Verri e Beccaria, questo non possa accadere o forse si capisce benissimo: nessuno vuole affrontare la questione e la triste accoppiata giustizialisti/securitari continua a rallentare un processo riformatore che migliorerebbe non solo la qualità della detenzione, assicurando un più efficace recupero dei reclusi, ma anche un più elevato tasso di sicurezza sociale e minori costi per i bilanci pubblici. Insomma, invece di parlare di pene certe, come se vi possano essere pene incerte, si dovrebbe parlare di leggi certe, anche quando riguardano cittadini che quelle leggi le hanno violate ed é giusto che paghino.
La verità é che la pessima condizione delle carceri, il sovraffollamento, la carenza di personale, la carenza di attività rieducative, una sanità penitenziaria a dir poco discutibile etc. aggiungono alla pena espressa in anni, mesi e giorni anche una pena aggiuntiva espressa in termini di ingiusta ed incivile afflittività. Una afflittività che determina un alibi per chi vuol continuare a negare lo Stato facendo credere che sia solo la criminalità che può garantire i diritti del recluso.
Per non parlare delle assurde condizioni del personale, sottodimensionato di almeno 6.000 unità, che non ce la fa più, come dimostrano, purtroppo, i frequenti suicidi di agenti di polizia penitenziaria. Questo sistema é un vero e proprio colabrodo da quale gocciola sangue e questo é molto grave”.
“L’Italia è molto indietro. Lo ripeto la “diabolica alleanza” tra giustizialisti e securitari ha impedito al Parlamento di introdurre, nel nostro codice penale, il reato di tortura, il cui trattato internazionale è stato firmato dal nostro Paese quasi 25 anni addietro, ha impedito di introdurre le pene alternative al carcere per i reati minori, impedisce la costituzione di un tavolo comune attorno al quale tutti i pianeti della costellazione penitenziaria possano sedersi per trovare, insieme, soluzioni adeguate per i reclusi, per i magistrati, per gli agenti, per i medici, per i direttori, per gli educatori, per gli enti locali, etc. Quando ho proposto questa ipotesi al Ministro Severino, nel corso di un incontro svoltosi in Senato, mi ha guardato sbigottita come se io fossi un extraterrestre. Eppure questa idea mi sembra così vergognosamente banale che persino il Ministro stesso avrebbe potuto averla. Evidentemente, invece, deve essere stata proprio difficile da capire, tanto che non se n’é fatto niente, così come difficile da capire sono sembrati i ripetuti appelli del Presidente della Repubblica e persino del Papa. Fossi al posto del Ministro mi porrei tante domande e magari mi farei fare un buon controllo alla vista ed all’udito, ma non in carcere, ci vorrebbe troppo tempo per via delle autorizzazioni! La verità é che nessuno ha voglia di occuparsi dei detenuti, eppure essi sono il frutto degli errori della nostra società. Diceva Fabrizio De Andrè in una sua famosa canzone : “anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti”.
“Non credo che il nostro Paese abbia bisogno di molte nuove carceri, penso, invece, che abbia bisogno di carceri nuove in cui si studia, si lavora, si socializza, si recupera il senso civico e la legalità. Quando queste condizioni si verificano e, per fortuna, sia pure in pochi casi, si verificano, la recidiva passa dall’80% al 20%, non mi sembra poco! Pensi che in Sicilia, quando funzionava la mia legge, la 16/99, che permetteva ai reclusi in espiazione di pena di ottenere un piccolo contributo in attrezzature e materie prime per avviare un’attività lavorativa autonoma, i 130 detenuti che ne usufruirono abbandonarono definitivamente il mondo del crimine, si misero a lavorare è lavorano tuttora. Poi, un Presidente della Regione troppo distratto ed un manipolo di burocrati spregiudicati ed ignoranti l’hanno definanziata, facendo in questo modo un grossissimo favore alla criminalità che, purtroppo, cosi stando le cose, continua ad essere l’unico datore di lavoro pronto ad assumere un ex galeotto”.