Carta dei Diritti dei Detenuti: “Un'inutile operazione di marketing” - QdS

Carta dei Diritti dei Detenuti: “Un’inutile operazione di marketing”

Gianluca Di Maita

Carta dei Diritti dei Detenuti: “Un’inutile operazione di marketing”

mercoledì 19 Dicembre 2012

Il ministro della Giustizia Paola Severino ha firmato nei giorni scorsi il decreto ministeriale che rende operativo il documento. Intervista del Quotidiano di Sicilia al Garante dei Diritti dei Detenuti, Salvo Fleres

Palermo – Lo scorso 5 dicembre il ministro della Giustizia Paola Severino ha firmato il decreto ministeriale che rende finalmente operativa la “Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti e degli internati”. Un documento che cerca di ovviare alle lungaggini dell’attività di informazione da parte del Direttore dell’istituto o di un operatore penitenziario da lui designato, attività che spesso e volentieri viene trascurata. L’informazione, si sa, è il fulcro della nostra società e pure i detenuti, soprattutto loro, devono essere informati di ciò che li aspetta. Ma dal momento che quasi sicuramente dentro questi documenti non ci saranno preannunciati gli enormi disagi e la situazione tragica del sistema penitenziario, abbiamo chiesto al Senatore Salvo Fleres, Garante dei diritti dei detenuti per la Sicilia, se questa “Carta” è veramente innovativa e utile o soltanto uno specchio per le allodole.

Senatore Fleres, giorno 5 dicembre il guardasigilli Paola Severino ha firmato il Decreto ministeriale contenente le disposizioni relative alla consegna della Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti e degli internati. In un sistema carcerario, che tende poco al reinserimento sociale dei detenuti e molto alla negazione della loro persona, la Carta secondo Lei avrà effetti sostanziali o meramente formali?

“Invece della Carta dei diritti dei detenuti, che è la sintesi delle principali disposizioni già contenute, quanto disattese, nell’ordinamento penitenziario, risalente al 1975, il Ministro Severino avrebbe fatto bene a riconoscerli fino in fondo, quei diritti, e non a limitarsi a trascriverli in bella, quanto costosa, veste grafica, al solo scopo di ottenere un po’ di rilievo sulla stampa. La sua é una semplice operazione di marketing del tutto inutile, quanto pomposamente annunciata, insomma un’ennesima offesa alla dignità di chi, in carcere, continua a vedere travolta la propria dignità di uomo. Di carte dei diritti dei detenuti, come quella spacciata dal Ministro Severino come una novità rivoluzionaria nel sistema carcerario italiano, ne esistono almeno un centinaio predisposte, negli anni, senza tanto clamore di stampa, dai Garanti dei diritti dei detenuti e dalle numerose ed attivissime associazioni di volontariato penitenziario, che ogni giorno si battono perché la legge 374/75 e l’art. 27 della Costituzione vengano rispettati e non solo proclamati.
Insomma, quella del Ministro più che una "Carta" mi sembra una cartaccia!"
Al 30 novembre la Sicilia è la terza regione del Paese per numero di detenuti presenti (7.198), la capienza regolamentare invece sarebbe molto di meno (5.555). La scelta del Governo di sfornare una Carta dei diritti non può sembrare una mossa per prendere tempo dal momento che il primo diritto di un detenuto dovrebbe essere quello di non soggiornare in un carcere sovraffollato?
“A parte che in Sicilia potrebbero trovare posto, al massimo, 4.600 reclusi circa, e che il sistema penale italiano potrebbe tranquillamente essere definito, con un tetro neologismo "carcerogeno", credo che la domanda sia assolutamente pertinente e contenga già la risposta: si! La trovata della carta dei diritti dei detenuti, mentre giace nei cassetti del Senato la riforma del codice penale e l’ampliamento del sistema delle pene alternative, é un modo per perdere (o prendere) tempo, nella più assoluta incapacità di individuare soluzioni adeguate non a svuotare estemporaneamente le carceri ma ad evitare che continuino a riempirsi. Chi lo dice che l’unica pena possibile sia quella detentiva? Chi lo dice che un cittadino debba pagare solo con una costosa (per l’erario) detenzione (da 130 a 250 euro al giorno) e non anche con il proprio denaro o con un lavoro compensativo di tipo socialmente utile?
In altri Paesi europei e non, questo genere di pene é diffusissimo ed efficacissimo, non si capisce perché in Italia, la patria di Verri e Beccaria, questo non possa accadere o forse si capisce benissimo: nessuno vuole affrontare la questione e la triste accoppiata giustizialisti/securitari continua a rallentare un processo riformatore che migliorerebbe non solo la qualità della detenzione, assicurando un più efficace recupero dei reclusi, ma anche un più elevato tasso di sicurezza sociale e minori costi per i bilanci pubblici. Insomma, invece di parlare di pene certe, come se vi possano essere pene incerte, si dovrebbe parlare di leggi certe, anche quando riguardano cittadini che quelle leggi le hanno violate ed é giusto che paghino.
La verità é che la pessima condizione delle carceri, il sovraffollamento, la carenza di personale, la carenza di attività rieducative, una sanità penitenziaria a dir poco discutibile etc. aggiungono alla pena espressa in anni, mesi e giorni anche una pena aggiuntiva espressa in termini di ingiusta ed incivile afflittività. Una afflittività che determina un alibi per chi vuol continuare a negare lo Stato facendo credere che sia solo la criminalità che può garantire i diritti del recluso.
Per non parlare delle assurde condizioni del personale, sottodimensionato di almeno 6.000 unità, che non ce la fa più, come dimostrano, purtroppo, i frequenti suicidi di agenti di polizia penitenziaria. Questo sistema é un vero e proprio colabrodo da quale gocciola sangue e questo é molto grave”.
Si vede ottimista riguardo al percorso che l’Italia, sulla scia europea, sta intraprendendo a fronte di questa drammatica situazione carceraria?
“L’Italia è molto indietro. Lo ripeto la “diabolica alleanza” tra giustizialisti e securitari ha impedito al Parlamento di introdurre, nel nostro codice penale, il reato di tortura, il cui trattato internazionale è stato firmato dal nostro Paese quasi 25 anni addietro, ha impedito di introdurre le pene alternative al carcere per i reati minori, impedisce la costituzione di un tavolo comune attorno al quale tutti i pianeti della costellazione penitenziaria possano sedersi per trovare, insieme, soluzioni adeguate per i reclusi, per i magistrati, per gli agenti, per i medici, per i direttori, per gli educatori, per gli enti locali, etc. Quando ho proposto questa ipotesi al Ministro Severino, nel corso di un incontro svoltosi in Senato, mi ha guardato sbigottita come se io fossi un extraterrestre. Eppure questa idea mi sembra così vergognosamente banale che persino il Ministro stesso avrebbe potuto averla. Evidentemente, invece, deve essere stata proprio difficile da capire, tanto che non se n’é fatto niente, così come difficile da capire sono sembrati i ripetuti appelli del Presidente della Repubblica e persino del Papa. Fossi al posto del Ministro mi porrei tante domande e magari mi farei fare un buon controllo alla vista ed all’udito, ma non in carcere, ci vorrebbe troppo tempo per via delle autorizzazioni! La verità é che nessuno ha voglia di occuparsi dei detenuti, eppure essi sono il frutto degli errori della nostra società. Diceva Fabrizio De Andrè in una sua famosa canzone : “anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti”.
 
Nessun cittadino responsabile e ragionevole può considerarsi estraneo a quanto gli accade intorno. In fondo i criminali, prima di commettere il crimine per il quale sono stati condannati, erano cittadini come gli altri, erano i nostri compagni di scuola, i nostri colleghi di lavoro, i nostri parenti, i nostri parrocchiani e dopo il carcere tali torneranno ad essere. Ci vogliamo pensare? Vogliamo aiutarli a ritrovare la loro parte migliore, o pensiamo che il problema non sia nostro? Ma se non é nostro di chi è? Qual è la sua visione riformatrice del sistema penitenziario?
“Non credo che il nostro Paese abbia bisogno di molte nuove carceri, penso, invece, che abbia bisogno di carceri nuove in cui si studia, si lavora, si socializza, si recupera il senso civico e la legalità. Quando queste condizioni si verificano e, per fortuna, sia pure in pochi casi, si verificano, la recidiva passa dall’80% al 20%, non mi sembra poco! Pensi che in Sicilia, quando funzionava la mia legge, la 16/99, che permetteva ai reclusi in espiazione di pena di ottenere un piccolo contributo in attrezzature e materie prime per avviare un’attività lavorativa autonoma, i 130 detenuti che ne usufruirono abbandonarono definitivamente il mondo del crimine, si misero a lavorare è lavorano tuttora. Poi, un Presidente della Regione troppo distratto ed un manipolo di burocrati spregiudicati ed ignoranti l’hanno definanziata, facendo in questo modo un grossissimo favore alla criminalità che, purtroppo, cosi stando le cose, continua ad essere l’unico datore di lavoro pronto ad assumere un ex galeotto”.

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