Sicilia, nel 2012 in calo i ricavi di manifatture e servizi - QdS

Sicilia, nel 2012 in calo i ricavi di manifatture e servizi

Patrizia Penna

Sicilia, nel 2012 in calo i ricavi di manifatture e servizi

mercoledì 10 Aprile 2013

Lo rivela l’elaborazione effettuata dal Fisco dei dati Iva: reggono pizzerie e commercio ambulante. Contrazione che si aggira tra -6 e -7%. Peggio di noi 6 regioni del Centro-Sud

ROMA – Il crollo dei ricavi di manifatture e servizi in Sicilia si aggira tra il -6 ed il -7%: lo rivela l’elaborazione effettuata dal Fisco sui dati Iva 2012. A fare compagnia alla Sicilia anche Puglia, Emilia Romagna e Lombardia. Rispetto al 2011, variazione in negativo, ma di certo più contenuta anche per le regioni notoriamente “virtuose” come Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige, dove il calo registrato dai due settori oscilla tra il -1 ed il -4%. L’indagine del Fisco, che ha messo sotto la lente di ingrandimento circa 2.100.000 contribuenti, rivela che quello siciliano non è stato il dato peggiore in assoluto.
Sono sei, infatti, le regioni (Centro-Sud) dove la caduta dei ricavi si colloca tra il -7 ed il -10%: Lazio, Umbria, Marche, Molise, Abruzzo e Calabria.
Se l’economia del nostro Paese potesse mettersi in stand-by per poi decidere di ripartire una volta superato l’attuale empasse della politica, forse avremmo una situazione molto meno disastrosa di quella attuale. I partiti possono vivere di chiacchiere. L’economia no. Essa si nutre di produttività, lavoro, investimenti e va avanti solo con i fatti, con la fatica dei lavoratori e con l’impegno degli imprenditori. Il tessuto produttivo del nostro Paese paga ogni giorno a caro prezzo le conseguenze dello stallo politico: “Sono in media 41 le imprese che chiudono ogni giorno”, ha rivelato al Sole 24 Ore Vincenzo Boccia, Vicepresidente Confindustria e presidente della Piccola Industria. Le parole di Boccia, che da sole sono sufficienti a darci contezza della drammaticità della situazione, fanno il paio con un altro dato, altrettanto significativo.
 
A livello nazionale, infatti, manifatturiero e commercio hanno registrato un calo dei ricavi pari al -6,1%; i professionisti del -3% mentre ha perso maggiormente terreno il settore dei servizi: -7%. All’interno di un quadro desolante di ricavi ed introiti ridotti al lumicino, si inseriscono due settori che sono riusciti a mantenere il segno positivo, seppure in misura lieve, se non addirittura impercettibile: si tratta del commercio ambulante (+1,2%) e delle pizzerie (+1,1%). In soldoni, ciò significa che se una cena a base di pesce e lo shopping per negozi sono i nuovi tabù della nostra società, gli italiani riescono ancora (e a mala pena) a permettersi una pizza con la famiglia o con gli amici e l’acquisto di un abito o di una maglietta, ma rigorosamente tra le bancarelle dei mercatini, dove tutto, si sa, costa meno.
 
La fotografia, l’ennesima, scattata dal Fisco, rivela a chiare lettere che il tempo è scaduto gli appelli di speranza lanciati dalle aziende si sono trasformati in atti d’accusa. Se a ciò si aggiunge che la pressione fiscale che grava sulle imprese si aggira attualmente sul 68,3% contro una media europea del 44,2%, il disastro è servito.

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