Crisi finanziarie, rigore e crescita. Economisti e studenti a confronto - QdS

Crisi finanziarie, rigore e crescita. Economisti e studenti a confronto

Anna Claudia Dioguardi

Crisi finanziarie, rigore e crescita. Economisti e studenti a confronto

sabato 20 Aprile 2013

A Palazzo delle Scienze a Catania il terzo del ciclo di seminari e dibattiti “Le vie della crescita”. Di Taranto: “I giovani che più di tutti subiscono l’attuale situazione di incertezza”

CATANIA – Si è svolto giovedì 18 aprile, nell’aula Magna della facoltà di Economia dell’Università degli studi di Catania il seminario “Crisi finanziarie, rigore e crescita”. Il terzo del ciclo di seminari e dibattiti, “Le vie della crescita”, organizzati dal dipartimento di Economia e impresa nel corso del quale gli studenti hanno modo di ascoltare e confrontarsi con docenti specializzati e operatori del settore economico.
Protagonisti il professore Giuseppe Di Taranto, ordinario di storia dell’Economia e dell’impresa dell’Università Luiss di Roma in qualità di relatore e il direttore del Quotidiano di Sicilia, Carlo Alberto Tregua, in qualità di discusser. A coordinare gli interventi la professoressa Silvana Cassar.
Lineare e interessante è stata la “lezione” del professore Di Taranto che, con estrema chiarezza, ha ripercorso la storia dell’unione monetaria europea evidenziandone le criticità e cercando di comprendere il nesso con l’attuale periodo di crisi. Alla base del suo intervento la convinzione di dover dare risposte certe ai ragazzi che, più di tutti, subiscono l’incertezza dello stato attuale. Il professore, che si schiera a favore dell’unione europea ma non di quella monetaria, ha portato all’attenzione dei ragazzi alcuni punti critici nella costituzione e nello sviluppo di quest’ultima. In primis ha ricordato due parametri, contenuti nel trattato di Maastricht del 1992, necessari perché un paese potesse adottare la moneta unica: il rapporto tra deficit pubblico e Pil non doveva essere superiore al 3%, e il rapporto tra debito pubblico e PIL non superiore al 60%. Parametri che, grazie a diversi escamotage riportati dal professore, numerosi Stati riuscirono a raggirare adottando quindi la moneta nonostante non fossero in realtà in stato di salute.
Altro punto interessante e altamente attuale toccato dal Professore è stato quello dei vantaggi che l’adozione della moneta unica, ha apportato alla Germania che ha così assunto e mantiene un ruolo egemone nel panorama europeo.
Il primo vantaggio è dato dal rapporto tra euro e marco. “Se il marco fosse esistito ancora oggi – ha spiegato il professore – sarebbe stato rivalutato del 40 percento, per cui con l’euro la Germania ha acquisito una moneta di minore valore che ha prodotto un importante incremento delle esportazioni”. Il secondo vantaggio è dato dall’impossibilità di fare svalutazioni competitive all’interno dell’unione monetaria. Le altre monete restano quindi più deboli rispetto all’euro confermando il “monopolio inconfutabile” della Germania in cui invece si verifica la situazione opposta.
Infine il professore Di Taranto si è soffermato sulle politiche di liberalizzazione e privatizzazione, oggi viste come la strada universale da seguire. L’interrogativo posto dal professore è se veramente tali politiche possano essere giuste per tutti. Guardando al nostro Paese ha sottolineato come la privatizzazione degli istituì bancari ed assicurativi abbia, ad esempio, comportato un aumento dei rispettivi costi del 110 e del 180 percento. E che, la politica montiana del rigore non ha portato ad una diminuzione del debito pubblico.
“Noi italiani ci piangiamo addosso – ha concluso il professore – ma nel ’59 e nel ’65 abbiamo vinto l’oscar della moneta, perché la lira era considerata la moneta più stabile e, fino al 2002, il nostro tasso di sviluppo è stato simile a quello della Francia, Germania e Stati Uniti, per cui occorre analizzare il passato e cercare di capire in che cosa abbiamo sbagliato”.
Pur condividendo l’intervento di Di Taranto sui vantaggi della moneta unica per la Germania, Tregua, ha sottolineato la necessità di guardare anche a quello che succede all’interno del Paese e in particolare al non rispetto del principio di equità che fa sì che le ricchezze si concentrino nelle mani di pochi e che anche il mondo del lavoro risulti quasi blindato.
“Tutto questo – ha continuato – si associa alla mancanza di risorse da investire in ricerca e innovazione. La spesa pubblica viene inghiottita da una casta politica e burocratica che assorbe risorse senza dare corrispondenti servizi”.
Il nostro Direttore ha poi ricordato i quattro macigni che impediscono al Paese di crescere: corruzione, conservatorismo, criminalità organizzata ed evasione che, nel complesso, sottraggono alla crescita 460 mld di euro.
Rivolgendosi infine ai ragazzi ha concluso “Abbiamo il dovere di darvi un futuro. Un dovere che voi dovete aspettarvi e pretendere”.

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