Riduzione, riuso e riciclo: le tre “R” della direttiva Ue n. 98 del 2008 - QdS

Riduzione, riuso e riciclo: le tre “R” della direttiva Ue n. 98 del 2008

Andrea Salomone

Riduzione, riuso e riciclo: le tre “R” della direttiva Ue n. 98 del 2008

venerdì 26 Luglio 2013

La discarica considerata ultima alternativa, cioè quando risulti impossibile trattare i rifiuti

LONDRA – In data 20 aprile 2012 la Confederazione degli impianti per la produzione di energia dai rifiuti, meglio nota come Cewep (Confederation of European Waste-to-Energy Plants), ha pubblicato una raccolta di dati di diversa provenienza molto indicativi delle linee politiche adottate da alcuni dei principali Stati europei in materia di discariche.
Nella nostra inchiesta del venerdì sugli stabilimenti industriali per il trattamento dei rifiuti indifferenziati (Rsu) abbiamo già spiegato come l’Ue ha individuato le migliori strategie per la gestione dei rifiuti nella pratica della prevenzione e nelle tre R, ossia "Riduzione, Riuso e Riciclo".
In realtà in cima alla piramide dovrebbe stare la voce "informazione", perché – oltre ad essere l’unica vera condizione in grado di evitare la nascita del rifiuto – essa rappresenta la sola luce in grado di illuminare la strada che conduce alla migliore gestione possibile dei rifiuti di cui non si è riuscita ad evitare la produzione.
La prevenzione e le tre R, infatti, non servono propriamente a gestire i rifiuti come indicato dalla "waste hierarchy", la "gerarchia dei rifiuti" descritta nell’articolo 4 della direttiva Ue 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 (n. 98), che in realtà è una gerarchia per la gestione del problema rifiuti. Queste pratiche servono bensì ad impedire che gli Rsu vengano prodotti a monte. Certo, la frazione riciclabile – quella accumulata tramite il servizio di raccolta differenziata (Rd) – contiene sempre al suo interno una parte non riciclabile.
La quantità di questi residui, però, può variare sensibilmente a seconda di diversi fattori. Si potrebbe credere che a fare la differenza sia solo la diligenza dei cittadini nel separare i materiali e degli operatori ecologici nel controllarli e scegliere se gettarli o no nei compattatori. In realtà, anche se questi fattori giocano certo un ruolo importante, abbiamo visto come la presenza di impianti di separazione sia essenziale per ridurre al minimo – addirittura fino all’1% – la quantità di scarti indifferenziabili presenti nella Rd.
A proposito dei materiali riciclabili si può parlare quindi di semirifiuti, perché essi sono rifiuti solo in potenza. Quando non separati in appositi stabilimenti, infatti, questi materiali contengono sempre un’elevata quantità di frazioni estranee che abbassano in maniera consistente la qualità della materia prima raccolta. Ciò si traduce in una maggiore difficoltà nel piazzare il prodotto sul mercato e, quindi, i ricavi ottenuti dalla sua vendita rischiano di restare piuttosto limitati.
A prescindere da ciò, però, quando il rifiuto viene prodotto, ossia quando vengono mischiate la frazione umida e quella secca insieme ad altri materiali che necessitano di procedure di smaltimento adeguate (come ad esempio i Raee, ossia i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche), gran parte dei materiali potenzialmente riciclabili diventa di fatto non riciclabile e non restano che due soluzioni: o trattare gli Rsu in appositi impianti per l’inertizzazione degli Rsu (centrali energetiche, stabilimenti per il trattamento meccanico-biologico e cementifici); o, in ultima istanza – quando cioè non c’è alternativa – interrare i rifiuti nelle discariche.
Questa almeno è l’opinione dell’Ue: una volta che il rifiuto è stato prodotto, meglio utilizzarlo come combustibile che lasciarlo fermentare nelle discariche, dove da potenziale risorsa si trasforma in potente agente inquinante.
Secondo i criteri Ue gli Stati più virtuosi in materia di gestione di rifiuti sono proprio quelli che hanno rinunciato o ridotto ai minimi termini il conferimento dei rifiuti in discarica.
Da questo punto di vista la Svizzera – con lo 0% di rifiuti in discarica – è lo Stato più virtuoso d’Europa. Qui la quota di Rd raggiunge il 51% e il restante 49%, ossia il 100% dei rifiuti domestici indifferenziati (Rsu), viene impiegato come carburante sostitutivo dei combustibili fossili per la produzione di energia elettrica e teleriscaldamento.
A prescindere da quando e in quali nazioni sia stato imposto il divieto di depositare i rifiuti in discarica, va sottolineato che un passo simile va preparato pianificando una soluzione alternativa al problema.
E non c’è altra soluzione che quella di trattare i rifiuti in appositi impianti in grado di recuperarli da un punto di vista energetico e materiale, rendendoli innocui da un punto di vista ambientale e allo stesso tempo riducendone volume, peso e quantità.
Una strategia più che sensata adottabile senza bisogno di essere preparati da un punto di vista impiantistico – e che peraltro è stata utilizzata dagli Stati europei più virtuosi proprio per incentivare le amministrazioni alla costruzione di impianti per il trattamento degli Rsu – è quella di aumentare le tasse su ogni tonnellata di rifiuto depositato in discarica.

Paesi come il Belgio, l’Olanda, la Svezia, la Norvegia, l’Austria, la Danimarca, la Francia, la Finlandia e il Regno Unito hanno deciso di aprire le danze di questa nuova fase storica di abbandono progressivo della "cultura della discarica" proprio introducendo quel deterrente che da sempre si è dimostrato il più efficace nello spingere cittadini e amministrazioni a prendere provvedimenti nel più breve tempo possibile, ossia l’aumento delle tasse, che in questo caso sono state concepite come "sin taxes", ossia "tasse per il peccato", una sorta di tasse-multe per disincentivare la produzione di Rsu e la loro peggiore gestione, consistente appunto nell’interramento dei rifiuti in discarica.

Depositare gli Rsu in discarica significa infatti – oltre che perdere risorse e produrre cattivi odori giustamente mal sopportati da chi abita nelle vicinanze di tali siti – non solo incentivare l’inquinamento di terra e falde acquifere, ma anche consentire un’elevata produzione di gas serra, una delle concause principali del cambiamento climatico del pianeta.
Ulteriore vantaggio dell’introduzione di questa tassa è poi quello di consentire la creazione di un fondo per ulteriori investimenti nel settore, tali da permettere di invertire la rotta verso l’adozione di strategie più favorevoli sia da un punto di vista economico sia ecologico.

Il documento sopracitato rilasciato dal Cewep non lascia spazio ad equivoci: la politica italiana in materia di rifiuti e discariche è stata e continua ad essere ben lontana da quella seguita negli ultimi anni dagli Stati europei più virtuosi.
Dal grafico che pubblicheremo la prossima settimana avremo modo di vedere in dettaglio che l’Italia mantiene la tassazione più bassa dei nove paesi che la precedono nella classifica di merito stilata dal Cewep.
La cosa molto grave è che mentre tutti gli stati europei più avanzati hanno preso provvedimenti in materia, l’Italia non lo ha ancora fatto e, invece di essere messi nelle casseforti delle regioni per essere reinvestiti in programmi finalizzati ad allontanare la maggior quantità possibile di rifiuti dalle discariche, i soldi pagati dai comuni alle discariche private vanno quasi completamente nelle tasche di chi le gestisce.

Da questo quadro emerge una politica connivente con un circolo perverso.
Qualcuno potrebbe erroneamente pensare che in realtà non si tratti neanche di un circolo, perché i rifiuti, dopo essere stati prodotti, vengono depositati in discarica senza essere riutilizzati.
Ciò è vero, ma solo in parte. Infatti, anche se i rifiuti non vengono riciclati, i proprietari delle discariche reinvestono i loro soldi per ampliare il loro business.
A dimostrarlo in maniera evidente è il caso della discarica privata della Oikos di Motta Sant’Anastasia al quale abbiamo assistito un paio di mesi fa e di cui purtroppo non abbiamo più sentito parlare. La discarica era stata chiusa tre mesi fa perché senza più spazio per ricevere altri rifiuti. Un mese dopo la chiusura del sito, la famiglia Proto, proprietaria della discarica, è stata autorizzata ad avviare i lavori di gestione del nuovo sito in Contrada Valanghe d’Inverno a Misterbianco.
Il problema è di evidente gravità in una regione come la Sicilia, dove più del 90% dei rifiuti prodotti continua a finire in discarica.
Adesso più che mai si avverte nell’isola la necessità di rompere questo circolo vizioso e dare il via a una nuova fase nella gestione degli Rsu, così come hanno già fatto gli stati europei più virtuosi.
Affinché ciò avvenga occorrono però segnali forti, sia a livello nazionale sia regionale.

(18. Continua. Le precedenti puntate sono state pubblicate il 22 febbraio, l’1, 12, 15, 22, 29 marzo, il 5, 12, 19 aprile, 3, 10, 16, 24 maggio, il 7 giugno, il 5, 12 e 19 luglio. La prossima pubblicazione è prevista venerdì 2 agosto)

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