Le fragilità della finanza locale dopo i tagli ai trasferimenti - QdS

Le fragilità della finanza locale dopo i tagli ai trasferimenti

Antonio Leo

Le fragilità della finanza locale dopo i tagli ai trasferimenti

sabato 28 Settembre 2013

La “Relazione sulla situazione economica della Regione siciliana 2012” fotografa un quadro desolante. I sindaci protestano, ma resta ancora bassa la riduzione dei costi per gli apparati

PALERMO – Dopo le pressioni dei sindaci siciliani, che soltanto l’altro ieri sono scesi in piazza per manifestare tutto il loro dissenso contro i tagli della Regione, la Giunta regionale – orfana da poche ore di uno dei suoi migliori assessori, quel Luca Bianchi voluto all’Economia da Luigi Bersani – ha stanziato circa 60 milioni di euro per i Comuni fino a 15 mila abitanti (20 per la spesa corrente e 40 per le opere di riqualificazione urbana). Eppure, neanche ventiquattro ore dopo, l’Anci Sicilia ha bollato la manovra dell’esecutivo come un “contentino”. Per l’Associazione dei Comuni siculi, “non bastano i 60 milioni recuperati dall’esecutivo, ne servono altri 40 per evitare il default di quelle amministrazioni che non hanno più soldi in cassa nemmeno per pagare gli stipendi dei dipendenti”. Ma esattamente perché si lamentano i primi cittadini? Una fotografia recente l’ha scattata la “Relazione sulla situazione economica della Regione siciliana”, redatta dal Dipartimento regionale delle Finanze e relativa ai dati del 2012.
Le entrate nei Comuni.
A pesare di più sulle casse degli Enti locali è, ovviamente, il minor gettito. Nello scorso anno, “le entrate totali di cassa delle amministrazioni comunali della Sicilia hanno fatto registrare una riduzione dell’1,2%, dovuto alla concomitante diminuzione delle entrate in conto capitale e di quelle per accensioni di prestiti”. Quello che ha permesso alle finanze locali di resistere – o quanto meno di non crollare – è stata l’introduzione dell’Imu. “Le entrate correnti hanno fatto registrare un aumento del 2,3%, dovuto all’aumento delle entrate tributarie (+35,2%), conseguente al decreto legge n. 201 del 6 dicembre 2011 che ha anticipato l’introduzione dell’Imposta municipale unica”. È evidente infatti che tale aumento “ha compensato la sensibile riduzione dei trasferimenti statali (-8,3%) e regionali (-21,9%)”. Insomma senza il tributo “federalista”, sarebbero stati dolori: bisogna considerare che, a tutt’oggi, le entrate derivanti da trasferimenti rappresentano il 51,1% delle entrate correnti.
La vituperata e ora abolita Imu, al tempo stesso, ha compensato gli effetti negativi derivanti dal Dl n.16 del 2 marzo 2012 (convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, L. 26 aprile 2012, n. 44), che ha abolito, anche nelle Regioni a statuto speciale, le addizionali provinciali e comunali sui consumi di energia elettrica. Tra imposte falciate e scure sui trasferimenti, l’Imu è stata una sorta di ancora di salvezza per i sindaci. Si vedrà, adesso, l’impatto della nenonata “service tax”.

Le spese nei Comuni.

“Sul versante delle spese nel corso del 2012 si è avuta una flessione complessiva pari al 4,3%”. Una riduzione che comunque appare ancora troppo bassa. “L’analisi dei titoli – si legge nella Relazione – mostra come le spese correnti siano diminuite del 3,9%, soprattutto a causa della riduzione delle spese per il personale (-5,4%), mentre una flessione meno evidente ha interessato le spese per l’acquisto di beni e servizi (-1,0%)”.
Per quanto riguarda le spese in conto capitale, queste si sono ridotte del 18,2% rispetto al 2011, il che conferma la tendenza negativa già riscontrata nel corso dell’esercizio precedente. Aumentano soprattutto le spese connesse al rimborso di prestiti (più 7,6%). “Un risultato piuttosto elevato, in quanto copre il 20,3% delle spese totali”, commentano i tecnici dell’assessorato all’Economia.
Le ex province, perché la barca affonda mentre Governo (e Ars) tentennano sui Liberi consorzi.
Come molti lettori sapranno, la legge regionale 7/2013 ha stabilito l’iter per la trasformazione delle Province regionali in Liberi consorzi dei Comuni: un processo che va completato entro il 31 dicembre 2013. Ad oggi, poco è stato fatto: al momento la Giunta ha soltanto approvato un disegno di legge per l’istituzione delle Città metropolitane, ma ancora deve iniziare tutta la trafila parlamentare all’Ars e già non mancano le prime barricate dei Comuni limitrofi a Catania, Palermo e Messina (che tutto vogliono, meno che essere ridotti a “quartieri”). Nel frattempo le Province continuano a barcamenarsi in mezzo a noi, sotto la guida dei commissari straordinari nominati da Rosario Crocetta (l’unica cosa che risulta abolita è il caravanserraglio di Giunte e Consigli provinciali).
Le finanze degli Enti intermedi in via di soppressione non godono, però, affatto di buona salute (prova ne è che il Governo siciliano ha dovuto stanziare, ad agosto, circa 50 milioni di euro per assicurare l’apertura delle scuole). Anche qui ci torna utile la “Relazione economica 2012” della Regione. “Le entrate delle nove amministrazioni provinciali siciliane, desunte dal conto di cassa, mostrano una sensibile riduzione delle entrate complessive nel 2012 (-15,8%), attribuibile in buona parte all’andamento delle entrate correnti, che hanno mostrato una flessione del 20,7%”. Ciò è dovuto alla riduzione delle entrate tributarie connesse all’addizionale sul consumo di energia elettrica e per i tagli dei trasferimenti statali alle province, che si sono ridotti del 51,1%. Le Province, in parte, si sono “salvate” con l’accensione di prestiti, aumentati di oltre il 79% ( rappresentano il 7,4% delle entrate complessive). Ma questo naturalmente, alla lunga, può gravare parecchio sui bilanci. Le spese per il rimborso di prestiti, infatti, sono parallelamente aumentate del 55,3%.
“L’analisi dei risultati differenziali dei conti delle Province – conclude la Relazione – mostra un netto peggioramento del risultato complessivo di gestione, che fa registrare un valore negativo pari a 76 milioni, quale conseguenza della contrazione delle entrate”. Tutte gatte da pelare che – qualora la riforma andrà in porto – dovranno giocoforza ricadere su qualcuno. Regione o Comuni.

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