Imprese, la notte non è passata. L’Isola si accoda alla decrescita - QdS

Imprese, la notte non è passata. L’Isola si accoda alla decrescita

Chiara Borzi

Imprese, la notte non è passata. L’Isola si accoda alla decrescita

giovedì 10 Ottobre 2013

È quanto emerge dal rapporto di settembre diffuso dal ministero dello Sviluppo economico. In Sicilia, nel primo trimestre, il segno rosso è di -0,39%: tra i peggiori del Sud

PALERMO – In Italia è allarme impresa. Nell’ultimo trimestre osservato dal ministero dello Sviluppo economico il numero di società presenti sul nostro territorio è diminuito a causa delle difficoltà economiche. I numeri non mentono e, dalle statistiche, si evince che la presenza d’imprese capaci di far girare l’economia in Italia si sta lentamente rarefacendo.
Secondo i dati forniti dal Mise, in collaborazione con Unioncamere, le difficoltà italiane si sono accentuate a causa della decrescita imprenditoriale del prospero Nord. Anche in queste zone, le imprese (indifferentemente dalla loro forma giuridica) cominciano ad arretrare e pare non esserci una fascia geografica capace di rimpiazzare la leadership settentrionale, considerando i numeri stazionari del Centro e quelli perennemente negativi del Sud.
Procedendo verso un’analisi più dettagliata si scoprono, però, dati ancora positivi. Continua ad aumentare il numero delle Società di capitali, forma giuridica più dinamica nel nostro sistema imprenditoriale: il loro tasso di crescita è pari all’1,30% per il totale delle imprese e al 3,06% nell’artigianato.
È risultato invece negativo l’andamento delle Società di persone soprattutto nel comparto dell’artigianato (-1,34%), a fronte dello 0,82% per il totale delle Società di persone e delle Ditte individuali (-1,89% nell’artigianato a fronte di un -1,16% relativamente al totale imprese). Non è dunque del tutto vero che la forma giuridica con cui si organizza l’azienda non faccia la differenza, ma la realtà rimane ugualmente molto problematica.
Al 30 giugno 2013 si registra un flusso di iscrizioni pari a 219.066 imprese, contro un flusso di cessazioni, al netto delle cancellazioni di ufficio, di 243.327 imprese: il saldo demografico è, quindi, negativo e pari a poco più di 24 mila imprese.
Lo stock di imprese registrate si posiziona su poco più di 6 milioni. In tutte le regioni si registra un tasso di crescita negativo delle imprese con “punte” di un certo rilievo soprattutto nella Valle d’Aosta (-2,09%), in Liguria e nel Veneto (-0,99%). Solamente nel Lazio e nel Trentino Alto Adige si registra un tasso di crescita positivo delle imprese. Anche la Sicilia rientra tra le regioni con una crescita negativa, ma i numeri del territorio non costituiscono un primato. Con un tasso del -0,39%, la nostra isola è capace di far meglio di Piemonte (-0,95%), Friuli (-0,61%), Emilia-Romagna (-0,53%), ma non regioni a lei “simili” come Campania (-0,19%) o Calabria (-0,21%). Le imprese registrate in Sicilia nel I trimestre 2013 costituiscono la sesta stima più alta d’Italia (461.697), quelle attive la settima (375.335), così come accade per quelle cessate (18.401).
Il tasso di crescita siciliano, ormai definibile di decrescita, si allinea perfettamente alla media del Paese. Grazie a questo allineamento la Sicilia riesce a non rendere particolarmente drammatica la sua situazione interna rispetto quella di altre regioni traino della nostra economia; quest’ultime, seppur evidentemente più votate all’imprenditoria, sono addirittura maggiormente costrette ad arretrare per la morsa della crisi. Un fatto non certamente positivo per tutto il Paese.

L’artigianato arranca: nei primi sei mesi dell’anno perse oltre 4 mila aziende

A registrare gravi difficoltà è anche il comparto dell’artigianato, i tassi di crescita crescita rilevati sono negativi per tutte le regioni italiane. Si segnala in particolare una sensibile caduta in Sardegna (-2,60%), in Umbria (-2,59%), nel Molise (-2,20%) e in Calabria (-2,15%).
La Sicilia rimane stabile nella negatività diffusa. Le imprese artigianali siciliane iscritte sono 80.888, settima quantità dopo le 101.547 del Lazio. Questo posizionamento in classifica non è da disprezzare, ma la differenza con le altre regioni supera evidentemente le 20 mila imprese di scarto sin da subito, costituendo un gap difficile da colmare. L’abisso è ancora più evidente guardando le imprese siciliane attive. Queste sono 79.697 e vanno paragonate ancora una volta a quelle del Lazio, regione immediatamente successiva alla Sicilia, dove sono state censite già 20.629 aziende in più (100.326 totali Lazio). Lo stacco si riduce nel numero delle imprese cessate. Rovesciando la classifica notiamo che la Sicilia ha perso solo 4.040 aziende al giugno 2013, mille in meno del Lazio, tremila meno delle regioni di Piemonte, Veneto, Toscana. Il computo complessivo non cambia, il tasso di artigianalità della Sicilia è il terzo più basso d’Italia (17,52% contro il 23,3%). Secondo i dati raccolti da Unioncamere, nell’Isola sarà difficile guardare con speranza anche al futuro. Il tasso di crescita siciliano attualmente è pari al -1,85%, lo 0,25% in meno del tasso calcolato per la media nazionale.


Nelle esportazioni cresce il Mezzogiorno. Ma il volume d’affari rispetto al Nord è basso

Il volume delle esportazioni è misurato separando l’Italia in quattro aree distrettuali: Nord Est, Nord Ovest, Centro e Sud. Se, singolarmente prese, le nostre regioni si mostrano imprenditorialmente poco efficaci all’interno del nostro stesso territorio, lo stesso non può dirsi quando, unendo le stesse zone, si programma un’attività imprenditoriale che punti fuori dai confini nazionali. A dimostrarlo sono i dati forniti dalla ricerca condotta da Intesa-San Paolo, la “Monitor distretti”, ritenuta attendibile dal ministero dello Sviluppo economico.

Nel I° trimestre del 2013 – si legge nel report – si registra una nuova crescita delle esportazioni dei distretti industriali, si tratta del dodicesimo risultato utile. Il complesso delle esportazioni ha registrato, in Italia, un aumento pari al 2,2% a prezzi correnti rispetto al I trimestre del 2012, grazie alla forte crescita delle aree meridionali (8,4%) e centrale (6,2%) del Paese. Come raramente accade Nord est e Nord ovest si ritrovano a dover cedere il passo agli altri distretti geografici italiani; il Nord Ovest ha fatto registrare per il trimestre considerato l’unica stima negativa d’Italia, il – 1,5%.
Secondo le rilevazioni fatte da Intesa San Paolo emergono, in particolare, le aree distrettuali della Sicilia (22,7% rispetto al I trimestre 2012), della Campania (12,3%), della Puglia (11,1%) e dell’Umbria (9,7%). Segnali di sofferenza si registrano, invece, nei distretti di Abruzzo (-20,3%), Friuli-Venezia Giulia (-4,2%), e Lombardia (-1,7%). Dove avvenuta, la crescita dell’export italiano si è verificata per via dell’ingresso del nostro Paese in nuovissimi mercati pronti ad accogliere i nostri prodotti (ad esempio negli Emirati Arabi Uniti, + 38,8%), garantito comunque dalla preesistenza italiana in mercati meno nuovi, come Turchia, Libia, Hong Kong e Vietnam.
Nei Paesi avanzati le esportazioni dei nostri distretti industriali hanno continuato a correre negli Stati Uniti (+9,9%). Si sono, invece, fermati due tradizionali motori distrettuali, la Francia (-3,1%) e la Germania (-2,3%). In Francia hanno sofferto soprattutto i distretti della filiera metalmeccanica e del Sistema casa, mentre in Germania la filiera dei metalli.
Ad eccezione dell’agro-alimentare, la caduta dei flussi di export dei distretti italiani è stata quasi generalizzata.

Operatori export: nell’Isola solo 4 mila contro i 62 mila della Lombardia

Il Centro e il Sud da primato nell’export si dimostrano, però, poco sostenuti sul territorio dalla presenza di operatori che lavorano per favorire le esportazioni. Ciò accade più a Sud. Non stupisce, nonostante le stime ovunque negative, che la maggior parte di queste figure sia presente al Nord, dove da sempre vi è una maggiore propensione ad incentivare adeguatamente il mercato.
È la Lombardia ad avere il maggior numero di operatori con l’export (quasi 62mila), seguita dal Veneto e dall’Emilia Romagna. Tra il 2012 e il 2011 si registrano variazioni positive di spessore in Lombardia e Liguria. I numeri della Sicilia a riguardo sono abbastanza mediocri, e lo sono sia nel lungo che nel breve periodo. Rispetto al 2008 sono stati registrati solo 639 operatori in più (basti pensare che in Campania sono già 918 in più), mentre nel solo 2012, con i suoi 4.125 operatori totali, la Sicilia viene scavalcata anche dalla Puglia (6.246), oltre che dalla consueta Campania (10.116).

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