Confrontando i dati analizzati nell’ottavo e nono rapporto sull’evento nascita in Italia, rimangono quasi del tutto invariati i dati relativi al ricorso al parto cesareo registrati in Sicilia dove, ancora una volta superati in percentuale solo dalla Campania (59,3%), anche per il 2010 l’espletamento del parto per via chirurgica riguarda il 52% contro una media nazionale del 37,5%. Non cambia molto neanche l’andamento della crescente medicalizzazione del parto in relazione al luogo in cui questo avviene perché di tutti i parti che avvengono nelle strutture pubbliche siciliane il 46,7% è cesareo così come il 75,9% di quelli che hanno luogo presso case di cura accreditate. Il trend si conferma anche a livello nazionale anche se le percentuali non raggiungono gli alti parametri dell’Isola: nelle strutture accreditate d’Italia si propende all’uso del taglio cesareo nel 58,3% dei casi quando le strutture pubbliche lo adottano per il 34,6% dei parti. Un dato che desta particolare curiosità sulla frequenza del ricorso al parto cesareo riguarda le future neomamme che decidono di partorire in Italia: nel 28,8% dei parti di madri straniere si ricorre al taglio cesareo mentre si registra una percentuale del 39,5% nei parti di madri italiane. Infine, prendendo in esame i parti vaginali dopo un precedente taglio cesareo, si registra nel 2010, a livello nazionale una percentuale pari al 10,3%; tale fenomeno si verifica quasi esclusivamente nei punti nascita pubblici.
Eccessivo ricorso delle siciliane incinte ai mezzi diagnostici
PALERMO – A dispetto di una media nazionale pari all’84,6% registrata nel 2010, il 77,2% delle donne siciliane in attesa di diventare madre si sottopone a più di 4 visite di controllo. Solo l’Abruzzo con 65,6% e la P.A. di Trento con il 76,5% supera il dato siciliano che indica un’inflessione di 2,6 punti percentuali rispetto al 2009 quando il 79,6% delle future mamme effettuava più di 4 visite e il 46,8% eseguiva 7 o più ecografie. Quest’ultimo dato, a distanza di un anno, in Sicilia è diminuito oltremodo attestandosi al 34,8% perché quasi la metà (48,3%) delle donne incinte si sottopone a 4 o 6 ecografie al massimo.
A livello nazionale, nel 2010 sono state effettuate in media 5,3 ecografie per ogni parto con valori regionali variabili tra 4 ecografie per parto nella P. A. Trento, 5,7 in Sicilia e 6,8 nella regione Basilicata. Tali dati riflettono il fenomeno dell’eccessiva medicalizzazione e di un sovrautilizzo delle prestazioni diagnostiche in gravidanza.
Ciononostante, per il 73,2% delle gravidanze si registra un numero di ecografie superiore a 3, valore raccomandato dai protocolli di assistenza alla gravidanza del Ministero della Salute. Nell’ambito delle tecniche diagnostiche prenatali invasive, l’amniocentesi è quella più usata (13,6%), seguita dall’esame dei villi coriali (nel 4,1% delle gravidanze) e dalla funicolocentesi (nello 0,8%). L’utilizzo di tale indagine prenatale è diversificato a livello regionale: mentre ad esempio in Sicilia si conta nel 6,4% dei casi, al Sud, in generale, si registra una percentuale al di sotto del 12% (ad eccezione della Campania e della Sardegna); i valori più alti si hanno invece in Umbria (26,6%) e Valle d’Aosta (26,5%).
Per quel che concerne infine la percentuale di gravidanze in cui viene effettuata la prima visita oltre la dodicesima settimana di gestazione, si evidenziano alcune correlazioni significative con le caratteristiche socio-demografiche delle madri rappresentate da: la cittadinanza, il titolo di studio e l’età. Per le donne italiane si ha una percentuale pari al 2,9% mentre tale percentuale sale al 13,8% per le donne straniere. Le donne con scolarità medio-bassa effettuano la prima visita più tardivamente, la percentuale di donne con titolo di studio elementare o senza nessun titolo che effettuano la prima visita oltre la dodicesima settimana è pari al 9,9% mentre per le donne con livello d’istruzione alto la percentuale è del 3%.
Baby mamme, in Sicilia i numeri più alti: il 3,2% delle madri non supera i 20 anni
Sono ormai lontani i tempi in cui le donne italiane non attendevano di superare i 25 anni per diventare madre. Nel 2010 si è confermato infatti che l’età media al primo figlio è quasi in tutte le regioni superiore a 31 anni con variazioni sensibili tra Nord e Sud. In generale, oltre il 60% dei parti avviene in donne appartenenti alla classe di età che va dai 30 ai 39 anni mentre le madri provenienti da altre aree geografiche (altri Paesi Europei 61,36%, Africa 48,41%, Asia 55,64%) hanno prevalentemente un’età compresa tra 20 e 29 anni. Non a caso l’età media della madre è di 32,6 anni per le italiane mentre scende a 29,3 anni per le cittadine straniere. Considerando poi l’incidenza del livello di istruzione, della presenza o assenza del coniuge e della condizione professionale del mondo femminile, la definizione di un identikit della “madre tipo” non può comunque oscurare alcuni dati di particolare rilievo. Ad esempio la Sicilia registra la percentuale più alta di madri giovanissime (il 3,2% non supera i vent’anni mentre in Italia la media è dell’1,4%) e di madri appartenenti alla classe d’età 20-29 (36,5%), discostandosi letteralmente dalla media nazionale (30,2%). Di fatto nell’Isola si conta un 54,2% di madri di età compresa tra 30 e 39 anni contro la media del 60,6% calcolata sui dati registrati in tutte le regioni, e un 5,9% di madri over 40 che in Italia invece raggiungono mediamente il 7,6% del totale. Non si è registrata nessuna impennata per quel che riguarda le percentuali delle madri di cittadinanza non italiana che hanno dato alla luce un figlio nel 2010 in territorio italiano. Ma i dati sono comunque positivi: dal 18% del 2009 si è passati al 18,3% in un solo anno.