L’Italia dei favori e delle clientele - QdS

L’Italia dei favori e delle clientele

Carlo Alberto Tregua

L’Italia dei favori e delle clientele

giovedì 17 Ottobre 2013

Competitività e produttività inesistenti

Se l’Italia si trova agli ultimi posti al mondo nelle graduatorie di produttività e competitività bisogna evidenziarne le cause, in modo da eliminare questi perversi effetti.
In un Paese dove non vi sono competitività e produttività, è ovvio che la disoccupazione cresca e il Pil diminuisca. Tanti soloni hanno sbandierato che il regresso del nostro Paese è effetto della recessione, mentendo clamorosamente, perché altri Paesi, invece, in questo sestennio (2008/2013)  sono andati avanti.
L’Italia è infestata da corporazioni e categorie fameliche, prime fra le quali quelle dei politici (o politicanti senza mestiere) e l’altra non meno onnivora di burocrati e dipendenti pubblici, fra i quali, tuttavia, ve n’è una grande quantità di bravi, onesti e competenti.
Categorie e corporazioni agiscono esclusivamente in base al proprio tornaconto, infischiandosene altamente del bene comune e dell’interesse nazionale. Così lucrando, danneggiano i cittadini dei quali aspirano parassitariamente le risorse.

L’aspetto peggiore di quanto scriviamo è che corporazioni e categorie hanno le cinghie di trasmissione nel Parlamento, rappresentate da deputati e senatori, i quali, anziché ricordarsi dell’art. 67 della Costituzione, ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato, si ricordano invece dei propri elettori e dei loro interessi particolari.
Così il Parlamento dimentica la sua sovranità, cioè il dovere di legiferare nell’interesse di tutti i cittadini e non di una parte di essi, e agisce in un mare di conflitti d’interesse delle parti rappresentate: un vero abominio.
Se ogni deputato-senatore, quando si appresta a valutare un ddl, avesse la coscienza pulita, si porrebbe con chiarezza la questione se la norma è d’interesse generale o particolare e voterebbe senza esitazione per la prima ipotesi. Ma così non è, prova ne sono le numerose leggi-fotografie approvate ad hoc per questo o quel potentato, con danno sulla generalità dei cittadini.
È chiaro che così non si può andare avanti, perché la grave malattia di cui è affetta l’Italia la farà deperire ancor di più.
 

Una delle questioni più gravi che impedisce il ribaltamento della situazione segnalata è il comportamento dei dirigenti pubblici, statali, regionali e comunali, propensi a dire quasi sempre “no” alle istanze dei cittadini e, quando dicono “sì” prendono tempi immemorabili per il percorso di procedure farraginose e lunghe, proprie dei comportamenti dei dipendenti.
Fino ad oggi la magistratura amministrativa e contabile ha avuto una tendenza a non riconoscere il danno commesso dai signor no, per cui essi preferivano negare piuttosto che affermare. Ma, da qualche tempo, la giurisprudenza ha cambiato indirizzo e ha cominciato a sanzionare con richieste di risarcimento del danno gli stessi signor no.
Se si arrivasse al punto di equilibrio, in base al quale i dirigenti corressero lo stesso rischio quando dicono “no” come quando dicono “sì”, probabilmente la situazione muterebbe.
I cittadini non debbono essere accontentati sempre, ma le loro richieste evase in tempi europei.

Il bravo Giovanni Pitruzzella (venuto al nostro forum del 28 aprile 2012), come presidente dell’Antitrust fa quello che può per lottare contro la posizione dominante di tante corporazioni e categorie. Ma la legge vigente non gli dà armi efficaci per ripristinare la concorrenza anche in settori  strategici.
Come, per esempio, quello delle ferrovie, nel quale la stessa holding funge da arbitro (Rete ferroviaria italiana) e da giocatore (Trenitalia). Lo stesso dicasi per la rete telefonica in possesso di Telecom (ora passata agli spagnoli), per la rete del gas, per la rete digitale e così via.
Per non parlare delle potentissime lobby di banche e assicurazioni, all’interno delle quali non vi è effettiva concorrenza, con la conseguenza che i consumatori pagano di più della media europea sia i servizi bancari che quelli assicurativi.
Vi è poi l’altra questione importante della produttività che va scissa in due parti: quella del settore privato si avvicina alla media europea, anche se deve fare ancora parecchia strada; quella del settore pubblico è distante anni luce dalla stessa media europea. Riflettiamoci.

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