Sud: aumenta la pressione fiscale. Spese giù, ma non per le pensioni - QdS

Sud: aumenta la pressione fiscale. Spese giù, ma non per le pensioni

Maria Francesca Fisichella

Sud: aumenta la pressione fiscale. Spese giù, ma non per le pensioni

venerdì 01 Novembre 2013

Rapporto Svimez: la previdenza sfiora ormai il 50% dei costi complessivi della Pubblica amministrazione. Le uscite correnti nel Meridione sono scese del 2,7% all’anno tra il 2007 e il 2011

PALERMO – “Da tempo la politica di coesione in Italia viaggia separatamente dall’ordinaria agenda di Governo. Si sconta in modo sempre più evidente l’assenza di una politica che intersechi le esigenze del Mezzogiorno con quelle dell’intero Sistema Paese, indirizzando verso quest’area sia i finanziamenti della politica ordinaria, sia gli investimenti dei privati controllati dallo Stato”. Lo si legge nel Rapporto Svimez 2013 recentemente pubblicato.
In effetti, il quadro della finanza pubblica che emerge dal Rapporto è quello di un Paese segnato dalla crisi che ha reso d’obbligo rigorose manovre restrittive.
Infatti, nel 2011 è proseguita la riduzione sia delle entrate che delle spese della PA, con particolare attenzione alle Regioni in disavanzo sanitario costrette a piani di rientro, ossia tutte le regioni meridionali tranne Basilicata e Sardegna. Cosa comporta ciò? Da un lato aumenti automatici di Irap e Irpef, e dall’altro un ulteriore sforzo di contenimento della spesa.
Riguardo alle entrate correnti complessive, negli ultimi quattro anni, dal 2007 al 2011, la riduzione è stata dell’1,67% in media all’anno, minore nel Mezzogiorno (-1,55%) che nel Centro-Nord (-1,8%): stante l’andamento del Pil, ciò si è tradotto in un aumento della pressione fiscale nell’area meridionale, secondo quanto emerge dall’analisi della Svimez.
Alla più elevata pressione fiscale si è accompagna una spesa pro capite più bassa, sia corrente che in conto capitale. Ma qui è da sottolineare che le spese correnti, ritenute da molti eccessive nel Mezzogiorno, sono diminuite del 2,7% all’anno tra il 2007 e il 2011, a fronte di una riduzione dell’1,1% nel resto del Paese, e risultano pari al 91,4% del livello pro capite del Centro- Nord.
Cosa ha determinato questo andamento? Di certo l’azione di controllo della spesa sanitaria, volta all’assorbimento dei disavanzi. Nonostante i risultati positivi non mancano segnali preoccupanti per quel che riguarda la qualità dei servizi garantiti ai cittadini, come hanno mostrato i risultati del monitoraggio, relativo al 2011, dei Livelli Essenziali di Assistenza, dai quali risultano forti criticità nelle Regioni in piano di rientro.
Il ministero della Salute, intervenendo, ha prospettato l’esigenza di rivedere obiettivi e finalità dei piani di rientro, dal momento che la priorità assegnata alla riqualificazione dei servizi non è stata rispettata. Il problema di conciliare contenimento costi/qualità dei servizi offerti dovrà essere tenuto presente nell’attuazione del federalismo fiscale in modo tale che l’adozione dei costi standard, sia accompagnata anche da una effettiva erogazione dei livelli essenziali dei servizi a tutti i cittadini.
L’unica voce che continua ad aumentare – secondo l’analisi della Svimez – è la spesa per le pensioni, che sfiora ormai il 50% della spesa corrente complessiva della PA.
L’andamento della finanza pubblica va sotto braccio a una forte caduta della spesa per investimenti. Ad aggravare la situazione concorrono, poi, le imprese pubbliche nazionali e locali la cui attività di investimento presenta una concentrazione ancora maggiore nel Centro-Nord. Si tratta di enti e società partecipate dallo Stato o da Enti locali, a metà tra il privato e il pubblico, che hanno una presenza rilevante nel panorama economico locale e nazionale. Il loro contributo risulta più elevato nel Centro-Nord con 20,6 miliardi rispetto ai 28 miliardi della Pa: nel Mezzogiorno la spesa è stata rispettivamente pari a circa 6 miliardi per le prime e a 15 per la seconda.

Ai territori con carenze infrastrutturali servono risorse pubbliche adeguate
PALERMO – Eppure il decreto del Ministero dell’economia e delle Finanze del 26 novembre 2010 “Disposizioni in materia di perequazione infrastrutturale, ai sensi dell’art. 22 delle legge 5 maggio 2009, n. 42” ha messo nero su bianco la metodologia per la ricognizione della situazione infrastrutturale, per l’individuazione delle carenze esistenti e per il calcolo del fabbisogno “in coerenza con il raggiungimento di obiettivi di sviluppo economico di medio e lungo termine e di riduzione dei divari territoriali” (art. 4 del decreto). All’art. 5 viene inoltre precisato – come si legge nel Rapporto – che ai territori caratterizzati da un maggiore fabbisogno infrastrutturale deve essere garantita una quota di risorse pubbliche proporzionale all’entità del fabbisogno. Queste norme portano a configurare una programmazione della politica infrastrutturale nazionale all’interno della quale diviene parte integrante la considerazione del maggiore fabbisogno, che caratterizza vaste aree del Paese. Dell’applicazione delle norme descritte non si trova traccia in documenti ufficiali né nell’Allegato Infrastrutture del Def nel quale dovevano essere inseriti gli interventi, individuati in base al procedimento descritto.

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