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Città metropolitane ok, abolizione Province ormai dietro l’angolo

redazione

Città metropolitane ok, abolizione Province ormai dietro l’angolo

mercoledì 05 Marzo 2014

Via libera alle nuove forme di governo per Palermo, Catania e Messina. Approvati 7 articoli su 11, ora si deve scegliere chi ricoprirà il ruolo di sindaco "metropolitano". Proteste dei dipendenti delle ex Province che chiedono garanzie

La riforma delle Province, a meno di sorprese clamorose, andrà in porto. E non tanto perché ieri sono state finalmente approvate le Città metropolitane, quanto per le modalità con cui si è giunti alla votazione di ieri. Un ruolo decisivo l’ha svolto il Nuovo centrodestra, che ha emendato l’art. 7 con il parere favorevole del governo e della commissione Affari istituzionali.
 
La norma varata ieri dall’aula prevede che il territorio di Palermo, Catania e Messina “coincida con quello delle aree metropolitane individuate con decreto del presidente della Regione del 10 agosto 1995 e dei rispettivi comuni”. In sostanza la disposizione segue quella che ha istituito i Liberi Consorzi al posto delle Province, abolendo il voto diretto e sostituendolo con quello di secondo livello per la composizione degli organismi. Qualora il testo governativo venga approvato definitivamente dall’Ars, i Comuni avranno sei mesi di tempo per scegliere se far parte delle Città Metropolitane o del Libero Consorzio
 
Il deputato regionale Nino Germanà ha accolto “con entusiasmo il consenso unanime che Sala d’Ercole ha riservato all’emendamento presentato da lui e dai colleghi del Nuovo Centro Destra relativo all’articolo 7, sulla riforma delle province in discussione ieri”.
 
Adesso sono in tanti a volersi intestare una quota di diritti d’autore sulla norma. “La mediazione che ha portato all’approvazione dell’articolo 7 sulla norma che restituisce le città metropolitane è stata raggiunta grazie al testo di un emendamento presentato da tutti i deputati del gruppo Drs e firmato anche da Germanà del Ncd. Se non ci fosse stato il nostro emendamento le aree metropolitane sarebbero saltate, soprattutto per ciò che era successo in Aula sull’articolo 1”. Lo ha affermato Marco Forzese, presidente dei Democratici riformisti per la Sicilia all’Ars.
 
“Siamo soddisfatti – ha aggiunto Forzese – che attorno alla nostra proposta si sia costruita una maggioranza d’aula, che comprende due partiti dell’opposizione come il Ncd e i Cinquestelle”. Anche quest’ultimi, alla fine, si sono convinti della necessità di approvare la nuova forma di governo dei tre grandi Centri dell’Isola.
 
Ma, come dicevamo, ancora non è finita. All’appello, prima che si vada alla conta finale, mancano ancora 4 articoli. Ne sono stati, infatti, approvati in tutto 7 su un totale di 11. Al momento il Parlamento sta discutendo l’art. 8 che riguarda gli organi delle Città metropolitane. Il principale nodo da sciogliere riguarda la figura del sindaco della “Metropoli”. Il testo governativo prevede che tale incarico debba essere ricoperto dal primo cittadino del Capoluogo (cioè da quelli di Palermo, Catania e Messina). Sul punto, però, non è da escludere che i deputati – di maggioranza come di opposizione – presentino degli emendamenti per scegliere il sindaco “metropolitano” tra i sindaci che compongono l’assemblea. Quest’ultima – che dovrebbe chiamarsi Conferenza – è oggetto di un acceso dibattito in Aula, in ordine alla sua composizione.
 
Ad ogni modo, con l’istituzione dei Liberi consorzi a un passo, si scatena la protesta dei dipendenti delle ex Province, il cui destino dovrà essere deciso nei prossimi mesi. Oggi un centinaio di lavoratori delle società in house collegate agli Enti intermedi hanno protestato davanti a Palazzo dei Normanni. Gli impiegati, in totale 600 persone circa, sono preoccupati in quanto al momento nel disegno di legge di riforma delle Province, all’esame del Parlamento, non ci sono disposizioni per la salvaguardia del loro posto di lavoro.
 
“Occorre una norma specifica per salvaguardare questo personale – ha dichiarato Mimma Calabrò della Fiscat-Cisl, a fianco dei lavoratori – Si tratta di dipendenti di società in house, vale a dire a totale controllo pubblico e in più con bilanci in attivo”.
“Serve nel ddl – ha aggiunto Calabrò – una norma per mettere in sicurezza i livelli occupazionali anche di queste persone e non solo dei dipendenti delle Province”.
 
GLI ALTRI SEI ARTICOLI APPROVATI.
 
Il primo articolo della riforma del Governo istituisce nove Liberi Consorzi in luogo delle attuali Province; il secondo disciplina l’adesione a un Consorzio diverso da quelli “canonici”: in sostanza, entro sei mesi dall’approvazione della legge, i Comuni con delibera dei rispettivi Consigli (è prevista una maggioranza qualificata di due terzi) potranno stabilire di costituire un nuovo Libero consorzio purché rispetti il limite minimo di 180 mila abitanti.
 
 
L’art 3 della riforma, invece, sancisce i Liberi consorzi sono organismi di secondo livello. È stato approvato anche l’art. 4, ma non come l’aveva riscritto il Governo, bensì come era stato originariamente esitato dalla Commissione Affari istituzionali: delle Assemblee consortili fanno parte i sindaci dei Comuni che aderiscono alla libera aggregazione.
 
L’Ars, ancora, ha approvato l’art. 5 che disciplina l’elezione, di secondo livello, dei presidenti dei Liberi consorzi, e le modalità di sfiducia. I presidenti, in breve, saranno eletti da consiglieri comunali e sindaci dei Comuni aderenti. L’art. 6, infine, disciplina la composizione della giunta dei Liberi consorzi.

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