Fa tristezza chi cerca il posto fisso - QdS

Fa tristezza chi cerca il posto fisso

Carlo Alberto Tregua

Fa tristezza chi cerca il posto fisso

venerdì 09 Maggio 2014

Chi più sa, più vale

I giovani appena laureati o maturati nei rigorosi limiti di tempo, 19 e 24 anni, dovrebbero immediatamente gettarsi nel mercato e fare qualunque lavoro, remunerato o meno, pur di accumulare esperienze. Esse sono la base per fare incamerare competenze.
Esperienze e competenze sono la ricchezza di una qualunque persona voglia lavorare. Non serve cercare qualche altro soggetto che dia il lavoro. Non siamo più nel dopoguerra, quando la grande maggioranza dei cittadini era ignorante, parlava a stento l’italiano, non conosceva cosa accadesse nelle altre parti del Paese, e per andare dalla Sicilia a Milano ci volevano 24 ore di treno, anche se si chiamava Freccia del Sud.
Nell’era di Internet – quest’anno si celebra il venticinquesimo anno della nascita del web per uso civile – il mercato è il mondo. Potenzialmente, i sette miliardi di persone sarebbero tutti in competizione fra di loro, mentre sono asfissiati dalle lobbies e dalle corporazioni, dagli oligopoli e da altri soggetti che detengono il potere. E con esso i privilegi.

I giovani e i meno giovani non devono stare sotto le gonne della mamma o della famiglia, che li rovina con uno stupido pietismo e non li fa crescere, facendoli restare immaturi. Giovani e meno giovani devono avere il coraggio di misurarsi con gli altri, di cadere e rialzarsi, di provarci e riprovarci, di non arrendersi mai.
Solo così possono crescere, essere competitivi perché chi più sa, più vale. Chi si getta nel mondo del lavoro deve autoeducarsi per sviluppare doti quali disciplina, sobrietà, rispetto per i terzi, educazione, tenacia, voglia di fare.
La paura non esiste, sosteneva il compianto maestro Claudio Abbado (1933-2014). La paura di perdere è un modo per perdere. Bisogna saper perdere, non sempre si può vincere, diceva una canzone dei Rokes nel 1967. Bisogna essere attrezzati mentalmente per affrontare le avversità senza paura, perché proprio la paura della paura infonde coraggio (ossimoro).
Potenzialmente, di lavoro ce n’è tanto. Non tutti devono andarlo a chiedere, possono inventarselo, utilizzando il proprio ingegno, la propria esperienza e lo spirito di osservazione.
 

Personalmente mi fa un po’ tristezza chi va a cercare un posto di lavoro, perché chi fa un lavoro autonomo o in proprio, assume dei rischi che non ha chi è dipendente.
Ciò non toglie che tutti coloro che fanno parte di un’azienda sono importanti, se capiscono che la loro utilità è essenziale quali giocatori di una stessa squadra; se capiscono come ognuno debba dare il massimo per il buon funzionamento di quella collettività, piccola o grande che sia.
Quanto precede ci porta a considerare il lavoro pubblico molto importante se è al servizio dei cittadini; privilegiato, prepotente e tracotante se dei cittadini non importa nulla.
In genere, il lavoro pubblico dovrebbe essere reso meno appetibile di quello privato. Fa specie venire a sapere che nel Comune di Cesana, in Val Susa, per un posto di vigile a tempo determinato si sono presentati in 200. Poveretti. Tutte persone non qualificate, deboli, incapaci di badare a loro stesse.

Della Festa del lavoro (o della disoccupazione) abbiamo scritto qualche giorno fa, ma la eco non si è ancora spenta. Ci rincuora che due dei tre leader sindacali (Bonanni e Angeletti) hanno centrato il cuore della questione: supportare e promuovere le imprese, uniche che possono creare nuovo lavoro.
Perché questo accada, bisogna sgravarle dei nove/decimi di adempimenti, finanziare con adeguato credito i programmi di sviluppo, togliere i lacci nei rapporti di lavoro, eliminare l’odiosa tassa sul lavoro qual è l’Irap, diminuire l’Ires e i costi privilegiati almeno per i nuovi assunti.
In questo quadro, la politica economica del Governo e delle Regioni dovrebbe fortemente incentivare il lavoro autonomo e le fasce più alte di esso, cioè le start up (le nascenti iniziative) e le spin off (la trasformazione della ricerca universitaria in attività imprenditoriali mediante l’utilizzo dei brevetti).
Sono i brevetti il metro dell’innovazione di un Paese. E per l’Italia il metro è corto.

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