Antonello Montante: "Terapia d'urto per il rilancio" - QdS

Antonello Montante: “Terapia d’urto per il rilancio”

Rosario Battiato

Antonello Montante: “Terapia d’urto per il rilancio”

mercoledì 11 Giugno 2014

I dati di Confindustria piazzano l’Isola agli ultimi posti della classifica nazionale per attrattività e competitività del territorio. Le Pmi salvano l’economia, ma scontano le incertezze e l’incapacità sulle scelte da compiere

PALERMO – Per una Sicilia stordita dai colpi della crisi, la speranza è tutta riposta nell’export. Lo rilevano i dati di Confindustria Sicilia, elaborati dall’Area Politiche territoriali, innovazione, education  confluiti nel report “check-up territorio – dossier Sicilia”  presentato lunedì scorso nel capoluogo regionale. La vivacità del tessuto produttivo isolano, soprattutto per quanto riguarda le Pmi, non risolve comunque la pericolosa deriva che ha intrapreso la nostra economia. 
Per una volta la Sicilia può appropriarsi di un titolo positivo. L’economia isolana, infatti, ha fatto registrare la migliore performance del Mezzogiorno in materia di export con un dato che incide sul totale nazionale (che per comodità fissiamo in 100) per il 3 per cento. Un risultato in controtendenza, soprattutto se letto alla luce degli indicatori relativi a competitività e attrattività del territorio che vedono, invece, la regione in coda alla classifica.
La Sicilia delle piccole aziende, secondo dati Istat il 97 per cento delle imprese ha un numero di addetti inferiore a 10, è assai vivace. Lo ha confermato il presidente regionale Antonello Montante parlando spiegando come “le aziende non sono rimaste con le mani in mano e, piuttosto che piangersi addosso, si sono attivate per cercare nuovi mercati”. E difatti, a differenza di quanto ci si potrebbe aspettare, a dare i numeri migliori non è l’oil (il cui export è diminuito del 23%), ma “gli altri comparti, – ha spiegato il presidente – dall’elettronica al farmaceutico, dai prodotti chimici all’agroalimentare, che hanno fatto registrare un incremento del 14 per cento”. Bene anche il manifatturiero che fa entrare la Sicilia nella top ten italiana con 23 mila imprese attive (la prima è la Lombardia con 84 mila aziende). Eppure, secondo i vertici confindustriali, questa “tenuta” siciliana è merito della forte iniziativa privata, visto che i risultati potrebbero essere ben più sostanziosi “se fossero create le condizioni per competere e se potessimo contare su politiche industriali che non ostacolino chi fa impresa, ma lo incentivino, così come accade nei paesi concorrenti”.
Sin qui le buone notizie, che restano comunque circoscritte al confronto con gli altri attori meridionali. Dal centro in su, la situazione resta ben diversa e si conferma un divario ancora sin troppo evidente. Negativo, ad esempio, risulta il dato sulla densità imprenditoriale (con circa 86 imprese ogni 1000 abitanti), che vede la Sicilia collocarsi in ultima posizione. Prima in classifica la Valle d’Aosta con quasi 150 imprese ogni 1000 abitanti.
Il segno negativo è particolarmente mercato quando l’attenzione si sposta dall’iniziativa privata all’accoglienza del territorio, e quindi alle politiche regionali per favorire l’attività imprenditoriale.  Questa classifica sulla competitività del territorio mette assieme diversi valori come il rapporto tra la produttività e il costo del lavoro, la redditività lorda, la propensione all’export e la propensione all’innovazione. Quattro dimensioni che riunite in un unico fattore hanno fatto scivolare la Sicilia al terzultimo posto nella classifica italiana, seguita solo da Molise e Calabria.
L’Isola guarda l’abisso da vicino anche nel ranking regionale dell’attrattività: accorpando 12 macro categorie (istituzioni, stabilità macroeconomica, infrastrutture, sanità, scuola primaria e secondaria, università, efficienza del mercato del lavoro, sofisticazione del mercato finanziario, dimensioni del mercato, avanzamento tecnologico, complessità degli affari, innovazione), la Sicilia è al diciassettesimo posto, seguita da Calabria, Basilicata e Molise. Per le ultime due classifiche sono sempre le regioni del nord a occupare la vetta.
Andando nel dettaglio provinciale scopriamo, come logica conseguenza, che le siciliane sono piazzate malissimo. Ragusa ed Enna chiudono addirittura la graduatoria nazionale, ma non stanno meglio nemmeno Palermo che è al sessantaduesimo posto, seguita da Siracusa (75^), Catania (79^), Caltanissetta (87^), Messina (93^), Agrigento (94^), Trapani (96^). Ultime, come si diceva, proprio Ragusa (102^) ed Enna (103^).
Per Montante “occorre una terapia d’urto. È necessario intervenire con urgenza per realizzare alcune delle riforme strutturali, sul progressivo ridimensionamento della spesa corrente, tagliando gli incentivi improduttivi e riducendo il peso del pubblico sull’economia, rendendo efficiente la Pubblica amministrazione e riportando la pressione fiscale a livelli accettabili”. I consigli degli industriali, del resto, sono abbastanza noti: "È necessario – ha spiegato Montante – porre grande attenzione alle Politiche di sviluppo, sia nel breve, sia nel lungo periodo". In questo modo sarà possibile "ridurre la polarizzazione tra imprese competitive e imprese in difficoltà, contribuendo a riaprire i rubinetti del credito, favorendo gli investimenti, promuovendo l’occupazione e sostenendo l’internazionalizzazione". Ultimo passaggio del ragionamento del presidente riguarda l’inserimento nel circuito delle "risorse europee che potrebbero essere rapidamente trasformate, nel prossimo triennio, in investimenti pubblici e privati”.

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