Al Sud i salari sono tra i più bassi - QdS

Al Sud i salari sono tra i più bassi

Fabrizio Margiotta

Al Sud i salari sono tra i più bassi

domenica 13 Luglio 2014

Ma il costo della vita agevola il potere d’acquisto. Fondazione Rodolfo Debenedetti: tre le province siciliane nella top five delle città con il più alto salario reale (Caltanissetta, Enna, Siracusa). Il 2° posto “nominale” di Milano diventa il 33/esimo su base reale, il 49/esimo di Ragusa diventa il 7°

PALERMO – È sicuramente destinata a far discutere la ricerca presentata a Roma lo scorso 27 giugno nell’ambito della XVI Conferenza europea della Fondazione Rodolfo Debenedetti. I professori Tito Boeri (Università Bocconi), Andrea Ichino (European university institute) ed Enrico Moretti (Uc Berkeley) hanno affrontato, in un lavoro molto analitico e dal rilevante profilo scientifico, alcuni dei più noti tabù della contrattazione collettiva italiana: è possibile rivedere il nostro sistema salariale sulla base delle differenze riscontrabili in tema di stipendi nominali e reali? È possibile importare in Italia, dagli Stati Uniti, un meccanismo di adeguamento economico che tenga sufficientemente conto dei prezzi delle case e dell’effettivo potere d’acquisto dei lavoratori su base regionale?
 
Temi affrontati in “Housing, real inequality and mobility”, un vero dossier-terremoto per chi da sempre considera l’uniformità dei salari (a parità di prestazioni) come unica e massima espressione di eguaglianza in un mercato del lavoro flessibile e neocapitalista. Basandosi sul Cpi, l’indice dei prezzi al consumo, nonché sui prezzi delle case, i tre studiosi hanno passato in rassegna i salari nominali e reali di diverse province italiane: ne sono emerse delle classifiche rovesciate, quasi bizzarre, in cui secoli di “questione meridionale” sembrano improvvisamente svanire nel nulla.
 
Se nella classifica delle province italiane con i più alti salari nominali spiccano, infatti, le solite Bolzano, Trento, Aosta (con Enna e Caltanissetta, per esempio, al 46/esimo e 57/esimo posto), il rapporto si inverte considerando i salari reali, fortemente influenzati dall’andamento del mercato immobiliare: al primo posto di Caltanissetta fa seguito il terzo e quarto posto di Enna e Siracusa, veri e propri “paradisi” del potere d’acquisto. Procedendo verso la coda delle rispettive classifiche, lo strano scherzo delle province italiane continua: se Ragusa e Trapani occupano rispettivamente i posti 99 e 103 nella griglia dei salari nominali, risalgono tra le prime trenta province italiane quando si parla di salari reali, doppiando Milano e il suo (incredibile) 96/esimo posto. Un’Italia impazzita? Non sarebbe azzardato crederlo procedendo con l’analisi delle classifiche sui redditi: il secondo posto “nominale” di Milano diventa il 33/esimo su base reale, mentre il 49/esimo posto “nominale” di Ragusa diventa il settimo se si considera il valore reale dei redditi.
 
La domanda sorge spontanea: come mai non assistiamo a una massiccia migrazione dal Sud al Nord Italia? Come mai i giovani siciliani continuano a fare le valigie un po’ come i propri nonni e bisnonni, in un’incredibile serie di corsi e ricorsi storici di vichiana memoria? La risposta, secondo i redattori dello studio, è chiara: in Sicilia, e in generale al Sud, manca il lavoro. Quando c’è, indubbiamente si vive meglio.
 
Dalle analisi alle soluzioni: è proprio con questo passaggio che il lavoro dei tre accademici rischia di scatenare un terremoto mediatico e politico senza precedenti. Se il salario reale di un insegnante milanese di scuola primaria –scrivono gli autori- è del 32 per cento più basso di quello di un collega ragusano (con cinque anni di anzianità, stando ai dati del 2011, guadagnano entrambi 1300 euro circa), l’insegnante milanese dovrebbe percepire un salario nominale maggiorato del 48 per cento.
 
Se un banchiere milanese con cinque anni di anzianità percepisce un salario nominale del 7,5 per cento più alto di quello di un banchiere ragusano, ma con un corrispondente salario reale del 27,3 per cento inferiore, avrà diritto a un incremento nominale del 37 per cento. Il fragile sistema della contrattazione collettiva rischia di essere la prima vittima illustre di una guerra ormai alle porte: la guerra dei salari.

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