24 miliardi di buco, Sicilia al fallimento - QdS

24 miliardi di buco, Sicilia al fallimento

Carlo Alberto Tregua

24 miliardi di buco, Sicilia al fallimento

mercoledì 30 Luglio 2014

Politici in ferie, siciliani alla fame

Lo scenario della nostra Regione fa vedere in tutta evidenza una parte di siciliani privilegiati, che continua a percepire stipendi, onorari e indennità altissime, totalmente insensibili ai milioni di siciliani che sono alla fame.
Il ceto politico e quello burocratico continuano nella propria malacondotta, che non tiene conto della situazione disastrosa e della povertà dilagante, anche conseguenza delle attività economiche che soffrono fortemente a causa dello stallo dell’economia.
Non si tratta di comportamenti recenti, ma risalgono ad almeno vent’anni fa, quando il declino è cominciato con il clientelismo di Cuffaro, proseguito con quello di Lombardo e continuato con l’inconcludenza di Crocetta.
Abbiamo più volte pubblicato che il settore pubblico siciliano ha un buco di 24 miliardi: crediti incerti per 5,4 miliardi, mutui regionali per 6,4 miliardi, debiti dei Comuni per 6,5 miliardi, debiti delle inutili ex Province per un miliardo, delle Ato Spa per un miliardo, della Sanità per 2,5 miliardi e di altri Enti minori per un miliardo.

Nessun uomo politico o burocrate risponde per questo disastro. Molti sono ancora in sella e continuano nella loro dissennata azione senza prendere in esame un’inversione di comportamenti che metta al primo posto l’interesse dei siciliani e all’ultimo quello personale (il loro).
Questa è la fotografia e negli ultimi vent’anni nessuno mai ha smentito le cose che scriviamo, se volete anche monotonamente. Se lo scenario non cambia, non possono cambiare osservazioni e commenti.
Le cause di quanto precede sono ormai note a tutti: irresponsabilità generalizzata, assenza di merito nelle azioni di politici e burocrati, spesa corrente clientelare, assenza di finanziamenti a progetti per costruire infrastrutture e aprire i cantieri, con il cofinanziamento dei fondi europei.
Ma in capo a questi guai vi è il disastroso comportamento della burocrazia regionale e, in molti casi, di quelle comunali. Dirigenti che non rispondono di nulla ma che percepiscono premi di risultati inesistenti, presidente e assessori regionali, sindaci e assessori comunali in buona parte incompetenti e in altra incapaci di guidare con energia e saper fare le loro amministrazioni.

 
Però, la responsabilità più alta è della Classe dirigente siciliana, che ha abdicato al suo ruolo di guida e di controllo dell’attività politica e burocratica. Non sentiamo imprenditori, professionisti, sindacalisti, professori universitari, uomini di cultura, ambientalisti, club service member e altri intervenire in maniera qualificata e pressante sulle istituzioni regionale e comunali perché comincino a fare il proprio dovere e il proprio lavoro con capacità e al servizio dei cittadini.
Quando manca l’azione della Classe dirigente, politici e burocrati non si sentono sorvegliati. In loro subentra il delirio di onnipotenza, pensano che tutto gli sia consentito e considerano i siciliani come sudditi e non come loro datori di lavoro cui rendere conto.
Qualcuno ci scrive che le nostre filippiche (dalle orazioni pronunciate da Demostene contro Filippo II di Macedonia, tra il 351 e il 341 a.C.) non servano a niente. Non è vero, ma se lo fosse, dimostrerebbe che abbiamo a che fare con dei satrapi ed egoisti, mentre noi crediamo che vi sia una parte del ceto politico onesta e capace e una parte di dipendenti e dirigenti pubblici (forse la maggiore) che ha capacità e spirito di servizio.

Senza l’azione di doveroso controllo che raffronti risultati a obiettivi da parte della classe dirigente, tutta l’organizzazione della Comunità non può funzionare, perché ognuno tira il lenzuolo dal proprio lato, infischiandosene altamente se scopre gli altri lati.
La diagnosi che precede non è nuova. In duemilaquattrocento anni sono state scritte pagine e pagine sulla materia. Agli anni di benessere seguono sempre quelli di carestia e poi ancora di benessere, perché la gente reagisce quando la crisi morde le carni. Purtroppo, la Classe dirigente non soffre per la crisi, se non marginalmente e, all’interno di essa, la dirigenza pubblica è proprio quella privilegiata che non sopporta un cambiamento dello stato di fatto.
Però, siamo al punto terminale. Bisogna ribaltare tali comportamenti per ottenere risultati o perderemo tutto.

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