Willer Bordon: "Con tecnologia Nasa si produce energia da Rsu" - QdS

Willer Bordon: “Con tecnologia Nasa si produce energia da Rsu”

Claudia Torrisi

Willer Bordon: “Con tecnologia Nasa si produce energia da Rsu”

sabato 20 Settembre 2014

Forum con Willer Bordon, presidente e fondatore Enalg Spa

Come si è evoluto il sistema degli impianti di incenerimento di rifiuti?
“Gli impianti di incenerimento di rifiuti portano con sé sempre delle problematiche. Malgrado quelli di nuova generazione siano molto diversi, una dose di inquinamento c’è. Il problema se accettare o non accettare un determinato impianto è sempre una questione di rapporto costi/benefici che, ovviamente, non è possibile declinare in assoluto. Non esiste niente che non sia in assoluto impattante. Quindi, trasformare i rifiuti ha un costo di vario genere. Ovviamente le forme di trasformazione si sono molto affinate. Qui veniamo alla nostra tecnologia. Il sistema adottato dalla Solena – di cui Enalg è società partner – è quello della torcia al plasma, che non immette inquinanti di alcun tipo in atmosfera e, quindi, è dal punto di vista ambientale, perfettamente sostenibile”.
Qual è il nucleo fondamentale della produzione di energia con questo sistema?
“Si tratta di un sistema che nasce in ambito Nasa negli anni ‘60 perché c’era bisogno di una tecnologia per ripulire le navicelle che portavano dallo spazio materiale pericolosissimo. Le navicelle venivano immerse in un contenitore, al cui interno il plasma veniva portato a una temperatura di 12mila gradi centigradi in modo da ottenere la totale scomposizione degli elementi e la pulizia da qualsiasi inquinante.
Questa tecnologia era, però, per due motivi inutilizzabile nella quotidianità. Il primo è che per contenere 12mila gradi centigradi c’era bisogno di materiali particolari e costosissimi. Il secondo è che per arrivare a quella temperatura c’è bisogno di molta energia. La Westinghouse cominciò a sperimentare – con quello che poi è stato il fondatore della Solena – tecnologie per aggirare questi problemi. Vennero quindi ridotte le temperature e le torce al plasma attualmente nel mondo contengono, avendo gli stessi effetti, una temperatura di 4mila gradi centigradi. Tuttavia, rimane il problema dello scarto fra energia immessa ed energia creata, per cui, tale tecnologia, è stata ad oggi usata per lo più per fini ‘speciali’. Ad esempio, in Giappone per i rifiuti ospedalieri, in Francia per quelli fortemente inquinanti. Basterebbe già questo: in Italia abbiamo tantissimi rifiuti speciali, che vengono messi sottoterra o buttati in mare. 
Fino a due o tre anni fa nessuno immaginava che si potesse adottare la torcia al plasma per gli Rsu, i rifiuti solidi urbani. La tecnologia Solena, invece, è riuscita a far sì che questa tecnologia sia pronta per essere usata anche con risultati economici interessanti per il trattamento degli Rsu”.
Che progetti avete a riguardo?
“Per il trattamento degli Rsu avevamo immaginato impianti ‘a misura di città, che trattassero 50-60mila tonnellate di rifiuti annui. Più o meno la quantità di rifiuti prodotta da 80mila o 90mila abitanti. Mentre stavamo progettando impianti di questo tipo, però, l’Ue ha emanato una direttiva con cui ha imposto a tutte le compagnie aeree che volano in Europa – di avere almeno il 20% di carburante da fonti rinnovabili, pena: una pesantissima multa. Questo ha creato un mercato che ha attirato la nostra attenzione. Rimaneva ancora un problema: prima di mettere carburanti non testati sugli aerei c’è una procedura lunghissima. Qui l’intuizione del fondatore di Solena group, adottare il processo  Fischer-Tropsch: fabbricare carburante dal carbone, metodo usato durante la seconda guerra mondiale dai nazisti, e adottato anche dal Sudafrica durante il periodo delle sanzioni, che non ha quindi bisogno di essere testato. Un carburante già usato dalle compagnie di tutto il mondo”.
Torniamo agli Rsu…
“A Londra stiamo realizzando un impianto che prevede l’utilizzo non di 50mila tonnellate l’anno, ma di 500mila, un terzo dei rifiuti di tutta la città. Questo dà vita a una quantità molto alta di biofuel e di biodiesel, per l’esattezza 120mila tonnellate l’anno, oltre a 40 Mw/h di energia elettrica.Uno dei soci della società che fa l’impianto è la British Airways che ha assunto questo come suo progetto pilota e si è vincolata con un accordo ad acquisire per i prossimi 10 anni 50mila tonnellate all’anno di biofuel prodotto con questo sistema. Questo ha fatto sì che siano scattati gli accordi con gran parte delle compagnie del mondo. Si calcola di entrare in produzione nel 2017”.

Dove sorgerà l’impianto a Londra? Interessa un’area molto vasta?
“Sorgerà su un’area di una ex raffineria. Stiamo parlando di 14 ettari. La parte biofuel va, ovviamente, tutta agli aerei, la parte biodisel la prende la BP Oil”.
Ma, a parte il carburante, c’è anche un prodotto finito in termini di energia elettrica?
“Sì, anche se questo impianto è più finalizzato alla produzione di biofuel. Se vogliamo soltanto l’energia elettrica torniamo al progetto di cui sopra, dell’impianto ‘a misura di città’, quello delle 50mila tonnellate. Quel progetto era stato finalizzato alla produzione di energia elettrica, con un sistema diverso. Non il Fischer-Tropsch. Dai rifiuti trattati con la torcia al plasma esce gas, che con il Fisher-Tropsch viene trasformato in biofuel e biodisel, con le turbine e i motori normali in energia elettrica. Sono due sistemi diversi. Con la quantità di rifiuti di 500mila tonnellate conviene produrre carburante, con una quantità un po’ più piccola conviene l’elettricità, e anzi con forti rendimenti. Tanto è vero che noi siamo partiti da questo, poi è scoppiato il boom degli aerei. Tenga presente che quando siamo partiti noi in Italia i vantaggi per fare elettricità erano enormi, ora si sono un po’ abbassati ma è ancora conveniente”.
Ma questi numeri da 50mila tonnellate sono ampliabili? Qui parliamo di 80mila abitanti, pensiamo alla Sicilia, che ne ha 5 milioni.
“Certo, anzi l’ideale sarebbe un impianto che trattasse 120 mila tonnellate, che tra l’altro produrrebbe a ciclo continuo 45 Mw/h di elettricità”.
 


Inceneritore o differenziata. Pro e contro, costi e benefici

Un impianto di questo tipo standard quanto costa?
“Dipende. L’impianto di 50mila tonnellate che produceva 9 Mw/h continui di produzione elettrica costava all’incirca 25 milioni di euro. La cosa più impressionante era che c’era un ritorno dell’investimento in 3-4 anni. Però questo con i conti di una volta, adesso sono cambiati i parametri sull’incentivo sull’energia elettrica”.
Questo impianto da 50mila tonnellate a quante persone darebbe lavoro sia per costruirlo che per gestirlo?
“Per la costruzione diciamo un centinaio di persone. Poi in esercizio purtroppo, di meno,  perché parliamo di impianti fortemente automatizzati e quindi con manodopera altamente specializzata. Però c’è da dire che il problema dei rifiuti non si riduce solo alla parte finale. C’è prima la raccolta e il trasporto, che a volte dà più fastidio ancora. Anche lì si può migliorare molto”.
Come si pone la raccolta differenziata rispetto a questo impianto industriale. È necessario il processo di scomposizione?
“In teoria no, non è necessario. E nemmeno in pratica lo è. Però è sempre un problema di costi/benefici. La differenziata viene utilizzata per essere recuperata. È solo un problema economico. Secondo me la separazione e la differenziata sono un vantaggio se fatte bene. Il vantaggio può essere di recuperare una serie di elementi che altrimenti brucio e che potrebbero essere riportati sul mercato del riciclo a prezzi più convenienti. Diciamo che in teoria ci sono due sistemi. Il primo è bruciare e produrre energia elettrica, a costi bassi e non inquinando. L’altro è quello che parte a monte e dice di eliminare il più possibile i rifiuti in modo che la percentuale che va in discarica o all’inceneritore sia ridotta al minimo. Ovviamente in termini di teoria è una cosa molto bella solo che siamo molto lontani oggi dal farlo”.
 

 
Le alghe un vero tesoro e opportunità per la Sicilia
 
C’è un altro sistema di produzione di energia, poi, quello che sfrutta le alghe. Cosa può dirci a riguardo?
“È un sistema molto più affascinante. Abbiamo già un impianto in Spagna. L’obiettivo è produrre un petrolio che invece di inquinare disinquina. Sembra uno slogan ma non lo è. Il nostro petrolio viene prodotto dal carbonio che c’è nell’atmosfera che, attraverso il processo di fotosintesi con le alghe, riproduce quello che avveniva milioni di anni fa sulla terra e che ha dato vita all’ossigenazione della terra e al petrolio fossile. Il risultato è il seguente: ogni due barili di petrolio che noi produciamo si elimina totalmente la Co2 di un barile di petrolio fossile. Purtroppo l’impianto esiste ancora solo a livello di prototipo industriale. Abbiamo difficoltà a trasformarlo in impianto commerciale perché l’ottimizzazione dei processi porta ancora risultati economici leggermente superiori a quelli del petrolio fossile. In realtà per me questo discorso vale fino a un certo punto: non mettiamo mai in conto il costo gigantesco della Co2. Se dovessimo calcolare i danni sia per la salute che per l’ambiente, anche costi superiori sarebbero giustificati.
Per fortuna abbiamo scoperto che le alghe sono una miniera d’oro perché contengono tutto. Ad esempio gli Omega, a un livello di raffinatezza non paragonabile a quello tratto dai pesci. Non solo: contengono proteine, grassi, farine alimentari. Da qui l’apertura di un secondo mercato, che ha riscontrato l’interesse di alcune delle più grandi compagnie alimentari al mondo. Ho più volte incontrato rappresentanti del ministero per lo Sviluppo economico e avevamo individuato nella Sicilia e nella Sardegna le aree in cui fare un impianto che mettesse assieme la produzione di petrolio e di prodotti alimentari, coinvolgendo alcune industrie italiane reciprocamente interessate all’una e all’altra parte. Il progetto prevedeva il recupero di un’area di riconversione industriale. Lì potrebbe esserci un sacco di lavoro in andata e in gestione”.

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