No a pensionati e garantiti ma lavoro ai disoccupati - QdS

No a pensionati e garantiti ma lavoro ai disoccupati

Carlo Alberto Tregua

No a pensionati e garantiti ma lavoro ai disoccupati

giovedì 06 Novembre 2014

Più opportunità per i meritevoli

La guerra che i sinistri di sinistra e la Camusso stanno facendo al Governo è pienamente comprensibile, perché sentono che frana il terreno sotto i loro piedi.
Sinistri e Cgil hanno vissuto su rendite di posizione, in questo dopoguerra e soprattutto in questi ultimi 20 anni. Hanno sempre chiesto lavoro per i disoccupati (una finzione) difendendo, invece, coloro che percepivano già un assegno pensionistico (nella maggior parte dei casi parzialmente non dovuto) e tutti gli altri che comunque, in un modo o nell’altro, avevano un rapporto di lavoro garantito.
Al riguardo, bisogna ribadire con forza, ancora una volta, che anche i dipendenti a tempo determinato percepiscono le medesime retribuzioni dei dipendenti a tempo indeterminato, in quanto i contratti di lavoro si applicano erga omnes indipendentemente dalla durata del contratto.
Io sono fiero di essere stato e di continuare ad essere un cosiddetto precario. Non ho mai chiesto il lavoro che non esisteva, mi sono inventato sempre quello che faccio e non mi sento cittadino inferiore. 
 
Niente di straordinario, ma solo ordinaria amministrazione. Come dev’essere per tutte le persone normali, le quali non debbono avere una mentalità da mendicante ma autostima nelle proprie capacità e fiducia di essere capaci di ben lavorare e di produrre reddito (soggetto a imposte) e occupazione.
Smettiamola con questa lamentazione sulla precarietà. Se un dipendente è bravo non sarà mai licenziato dal proprio datore di lavoro, a meno che non vi siano casi di forza maggiore che danneggiano prima di tutti proprio il datore di lavoro.
Certo, non può considerarsi un lavoratore il leader della Fiom, Maurizio Landini, che, da quando fa il sindacalista, non ha mai toccato una penna, né lavorato a un tornio o ad un computer. In trenta anni e più, egli ha vissuto di parole e di attività inutili alla collettività se non a quella piccola parte del sindacato che egli rappresenta e che può considerarsi una corporazione.
Non vi è dubbio che i dipendenti debbano essere tutelati dalle eventuali soperchierie dei loro datori di lavoro o dirigenti, ma le soperchierie ci sono state anche da parte dei dipendenti che non hanno rispettato le regole.
 
La Cgil pare che abbia accumulato  3.000 immobili di proprietà. I propri patronati, insieme a quelli degli altri sindacati, percepiscono dallo Stato centinaia di milioni di euro ogni anno. Ma mugugnano perché la legge di Stabilità prevede un taglio di appena 150 milioni.
Ovviamente la decisione con cui Renzi si sta muovendo, la sua dichiarazione che il posto fisso non c’è più e neanche l’articolo 18, scompagina il leitmotiv su cui hanno prosperato tanti parassiti.
Va chiarito che non esiste più il posto fisso, ma il contratto a tempo indeterminato. Infatti il Jobs act potenzia fortemente questo rapporto di lavoro e lo privilegia rispetto a quello a tempo determinato perché offre un bonus di 8.000 euro l’anno per tre anni, come taglio dei costi previdenziali, per le nuove assunzioni.
La politica del lavoro di questo Governo è tutta orientata a creare nuove opportunità. Opportunità per i meritevoli non per i bacchettoni, o gli infingardi, o gli altri che non hanno voluto prepararsi, studiare o fare esperienza.

Basta dunque pensare ai pensionati e ai dipendenti garantiti, che possono tranquillamente sopravvivere a questa crisi. Ora la politica del Governo deve orientarsi a creare lavoro per assorbire i disoccupati, come accaduto nell’ultimo anno nel quale hanno trovato occupazione ben 130 mila italiani.
Occorrerebbe che anche la Regione, il suo presidente e i 12 apostoli, si occupassero di creare lavoro per i 379 mila disoccupati smettendola di dare mance, elemosine, indennità e consulenze inutili ai soliti clientes, alimentando la cultura del favore che è l’opposto della cultura dello sviluppo.
In questa direzione si dovrebbe esprimere tutta la Classe dirigente siciliana che permane in una forma di timidezza del tutto ingiustificata, non comprendendo bene che i propri affari possono essere sviluppati solo se l’economia regionale funziona. Più Pil, più occupazione, più velocità della moneta, più impiego, più risorse finanziare.
Insomma, occorre che il cavallo ricominci a bere.

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