Natura e incuria uccidono lo sviluppo - QdS

Natura e incuria uccidono lo sviluppo

Rosario Battiato

Natura e incuria uccidono lo sviluppo

sabato 08 Novembre 2014

Le catastrofi naturali costano tantissimo e presentato i danni maggiori proprio nelle aree col Pil più basso. L’assenza di una corretta gestione della ricostruzione mortifica anche la ripresa economica

PALERMO – Le violenze atmosferiche dei giorni scorsi hanno prodotto danni non ancora economicamente quantificabili. Eppure sono bastate le immagini circolate sui social per tratteggiare le conseguenze devastanti per le abitazioni private e per le attività produttive. Il presidente di Confagricoltura Catania, Giovanni Selvaggi, ha spiegato che, pur non essendo in grado di quantificare ancora “termini economici e di impatto ambientale l’entità di tali danni”, si può comunque dire che quella che si è abbattuta sull’agricoltura della nostra provincia sembra “una vera e propria catastrofe” con notizie particolarmente sconfortanti che arrivano dalla zona acese. E sono proprio le attività produttive a patire maggiormente gli effetti dei disastri naturali con effetti  nell’immediato e nel prossimo futuro, perché spesso rimettersi in piedi dopo danni strutturali non è affatto semplice.
Le catastrofi soffocano lo sviluppo economico nel breve periodo e, se non adeguatamente gestite, possono diventare un’onda lunga che si produce negativamente fino ai decenni successivi. In Italia ci sono esempi innumerevoli di realtà che, dopo un grande disastro, sono state in grado di rimettersi in piedi e correre più di prima grazie alla fase della ricostruzione che solitamente garantisce un eccezionale afflusso di risorse esterne e di capitale fisico e altre che, invece, non riescono più a rintracciare la strada dello sviluppo.
Uno studio di Guglielmo Barone e Sauro Mocetti, ricercatori della Banca d’Italia, ha analizzato i differenti comportamenti di due territori in rapporto a note catastrofi naturali del novecento: i terremoti del Friuli e dell’Irpinia. “Negli anni immediatamente successivi sia in Friuli che in Irpinia l’andamento del prodotto pro capite non è risultato troppo diverso da quello delle altre regioni, grazie essenzialmente alla maggiore spesa pubblica”. Due decenni dopo, però, si apre un abisso tra le due realtà: incremento del 23 per cento in Friuli rispetto alle aree simili, per l’Irpinia un calo del 12. Il confronto trova ampia applicazione anche in Sicilia dove ci sono numerosi esempi di intere aree che non sono riuscite a riprendersi o a completare le ricostruzione: dal terremoto del Belìce del 1968 fino alle più recenti alluvioni del messinese. Nel lungo periodo il pil pro-capite ne risente e condanna queste realtà.
Le aree più povere sono quelle che devono essere messe in sicurezza con priorità assoluta, perché proprio da quelle parti le catastrofi hanno la tendenza a presentare il conto più salato. Uno studio del sito economico lavoce.info ha calcolato, tramite un’analisi statistica, che la percentuale delle persone coinvolte da una catastrofe non dipende soltanto dall’entità del disastro, ma anche dal reddito pro capite e dal livello di istruzione dei paesi in cui il disastro ha luogo. Le stime dicono che “in presenza di redditi pro capite più elevati del 10%, il numero dei coinvolti per milione di abitanti è più basso del 7.5%”. Certamente incide anche la densità della popolazione – nelle zone urbane più povere è decisamente più alta – ma anche perché luoghi più ricchi sono più propensi a investire in abitazioni migliori e a garantire una forma di sicurezza del territorio.
Le catastrofi, inoltre, non costano soltanto in prospettiva, ma anche nell’imminenza della crisi. Tra il 2009 e il 2012 l’Ispra ha valutato in 1,5 miliardi il costo dei danni complessivi causati dalle alluvioni in Sicilia, cioè 400 milioni di euro di danni all’anno.

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