Il lavoro autonomo vale quello dipendente - QdS

Il lavoro autonomo vale quello dipendente

Carlo Alberto Tregua

Il lavoro autonomo vale quello dipendente

venerdì 23 Gennaio 2015

Il rischio dei partite Iva

A forza di dire che il lavoro è un diritto, è passato un messaggio all’opinione pubblica che si trattasse del lavoro dipendente: spudorata menzogna. Il lavoro, infatti, è qualsiasi esplicazione di energia volta a un fine determinato, ovvero l’applicazione delle facoltà fisiche e intellettuali dell’uomo spese direttamente o coscientemente alla produzione di ricchezza.
Qualcuno deve spiegare perché anche i dipendenti pubblici non debbano produrre ricchezza sotto forma di servizi, che abbiano la funzione di leva nei confronti della società e dell’economia.
Qualche altro deve spiegare perché il lavoro dipendente è il solo capace di produrre ricchezza e che quello autonomo è secondario: un’altra spudorata menzogna.
Semmai, è vero il contrario. Chi svolge un lavoro autonomo corre rischi, per cui dovrebbe guadagnare più di chi questi rischi non li corre. È vero che i dipendenti del settore privato sono soggetti alla Cassa integrazione, ordinaria, straordinaria e in deroga.

È anche vero, però, che la nuova legge, con l’inserimento dell’importante contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti senza il malsano reintegro, mette a rischio il lavoro stesso.
È vero anche che il lavoro pubblico non corre alcun rischio, perché di fatto vi è una illicenziabilità, mentre è totalmente coperta da una sorta di irresponsabilità generale la forte inefficienza, improduttiva di risultati.
Ma se il lavoro deve produrre ricchezza, non può produrre il nulla. Ecco perché la burocrazia pubblica dev’essere interamente rivoltata e deve mettere al primo punto dell’attività, proprio la ricchezza.
Il lavoro autonomo, dunque, ha una componente di rischio. I soggetti con partita Iva se si ammalano non vengono pagati da nessuno, se prendono ferie le devono autopagare, se i loro mezzi si guastano li devono riparare mettendo mano al portafoglio. Insomma, non hanno alcuna copertura, né possono approfittare di chicchessia e neanche usufruire di privilegi. Forse qualche piccolo imprenditore o artigiano può evadere qualcosa dalle imposte, ma questo è un altro discorso che rientra nel fenomeno nazionale.
 

Corruzione, evasione e criminalità sono i più grossi cancri che stanno erodendo il tessuto sociale e l’economia del nostro Paese. Il primo e il terzo sono maggioritari al Sud, quello intermedio al Nord.
I tre cancri incidono fortemente sull’andamento del lavoro. Vediamo come. La corruzione impedisce la sana concorrenza, perché fa vincere quelli che pagano le mazzette, piuttosto che i bravi. La corruzione crea iniquità tra i cittadini, perchè quelli che pagano possono ottenere provvedimenti dalle Pubbliche amministrazioni, con tempi molto celeri, mentre quelli che non pagano aspettano, con tempi lunghissimi.
La corruzione c’è anche per la grande opacità presente negli enti pubblici di qualunque livello. Ceto partitocratico e ceto burocratico resistono fortemente a mettere sui siti degli enti qualunque cosa, dai procedimenti ai bilanci, dagli emolumenti alle consulenze e quant’altro. Con ciò alimentando i privilegiati.

L’evasione fiscale e contributiva crea distorsione al mercato, perché chi è in regola subisce una concorrenza falsata da parte di chi non paga imposte e contributi previdenziali. C’è qualche caso di imprenditore in grave difficoltà, ma più spesso l’evasione fa parte di un progetto criminale di chi vuole abusare dei servizi pubblici, senza pagare il corrispettivo.
La criminalità organizzata, soprattutto nei territori più poveri, si sostituisce allo Stato col dare lavoro e amministrare la giustizia. Ovviamente, a modo proprio. Ricordiamo le proteste di tanti cittadini quando vengono arrestati i criminali o sequestrati i loro beni, che fanno cessare attività lavorative.
Uno Stato attrezzato dovrebbe mettere subito a profitto i beni confiscati alle mafie e trasformare da sequestrati a confiscati tutti gli altri, mettendoli ugualmente a reddito.
Il lavoro autonomo, dunque, comporta rischi; quello dipendente, molti di meno. Entrambi hanno la stessa dignità ed è perciò che devono cessare le chiacchiere distorsive a danno del primo.

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