Dirigenti, controllo rotazione e responsabilità - QdS

Dirigenti, controllo rotazione e responsabilità

Carlo Alberto Tregua

Dirigenti, controllo rotazione e responsabilità

venerdì 27 Marzo 2015

Nominarli in base ai risultati

Prefetti, Questori, Comandanti provinciali e regionali di Guardia di Finanza e Carabinieri ruotano mediamente ogni tre anni. Il sistema funziona, tutti conoscono la regola e nessuno si lamenta.
Non si capisce perché tale benefica rotazione non possa diventare un metodo anche in tutte le amministrazioni statali, regionali, comunali e di altri enti.
È evidente che, pur con tutta la buona volontà, permanere nella stessa posizione dirigenziale per decenni, crea incrostazioni, cattive abitudini, indipendentemente dall’onestà e capacità del dirigente.
Anche in questo caso è una questione di metodo e cioè di regole oggettive che prescindano dalla discrezionalità o dalla convenienza. Quella convenienza che spesso cela corruzione, una corruzione che si è diffusa a macchia d’olio nelle Pubbliche amministrazioni, anche perché all’interno di ciascuna di esse non vi è una sorta di sistema immunitario che ne ammazza il virus.
Ma anche quando non c’è corruzione, si diffonde un altro cancro: l’inefficienza.

Dunque, è sufficiente un articolo unico col quale si stabilisca che nessun dirigente di qualunque livello, possa restare in quella posizione per più di tre anni, analogamente a come avviene nelle altre branche pubbliche, indicate all’inizio.
Gli scandali Mòse, quello di Roma Capitale, il terzo dell’Expo e, per ultimo (ma non sarà l’ultimo), dei Grandi Appalti sono conseguenza dell’incredibile situazione tutta italiana secondo la quale potenti dirigenti generali rimangono al loro posto per decine di anni o, tutt’al più, si scambiano le posizioni con colleghi, in modo che l’andazzo non cambi.
I dirigenti non devono diventare punti di riferimento per imprese, consulenti, professionisti, uomini politici o altri che curano gli interessi privati, ma devono essere soggetti indipendenti, che siano al servizio dei cittadini, non a parole.
L’altra causa di corruzione e inefficienza deriva dal fatto che non esistono controlli sistematici e obiettivi di strutture esterne, formate da professionisti anche stranieri che valutino la condotta dei dirigenti. è dai controlli che derivano tassativamente premi o sanzioni.
 

Un altro concetto per rimettere in condizioni di funzionalità la Pubblica amministrazione riguarda l’inserimento dei valori di merito e responsabilità, per misurare la condotta dei dirigenti.
Perché ciò avvenga è necessario dotare tutte le strutture di Piani aziendali che fissino gli obiettivi dell’attività, obiettivi non fumosi o indeterminati, ma precisi e misurabili anche con cronoprogramma. Cosicché, fissati gli obiettivi, diventa semplice misurare il loro raggiungimento in base ai risultati conseguiti. è proprio la comparazione fra risultati e obiettivi che determina la capacità o l’incapacità del dirigente.
Una decina di anni fa, una legge nazionale e una siciliana hanno deciso di dividere le responsabilità politiche da quelle amministrative.
Giusto l’assunto, erronea l’applicazione. Ciò è accaduto perché il ceto politico, sempre più debole e incapace, non ha esercitato le funzioni di indirizzo e controllo di quello burocratico.
Si usa dire che ministri e assessori regionali e comunali passano, mentre i dirigenti restano.

Fra l’altro, i dirigenti, per la loro stessa natura contrattuale, non dovrebbero essere incardinati a vita, ma avere contratti a termine, rinnovabili.
Va da sé che non si può diventare dirigente pubblico senza avere superato il concorso di cui all’art. 97 della Costituzione. Tuttavia, il concorso è una sorta di patente d’ingresso, ma nulla vieterebbe che la legge stabilisse la regola fondamentale che per la stessa natura di dirigente il suo rapporto di lavoro non possa essere a tempo indeterminato ma a termine, esattamente come accade nel settore privato.
È proprio qui la differenza, tra i due settori, che crea inefficienza in quello pubblico ed efficienza in quello privato.
Il Ddl Madia sulla riforma della Pubblica amministrazione non prevede gli elementi prima indicati, per cui la riforma nasce zoppa e non produttiva degli effetti indispensabili per rimettere in moto l’economia del Paese, vessata dalle Pa che, anziché aiutare ed agevolare, ostacolano le attività di imprese e cittadini.

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