Ciapi, ecco come funzionava il "sistema Giacchetto" - QdS

Ciapi, ecco come funzionava il “sistema Giacchetto”

redazione

Ciapi, ecco come funzionava il “sistema Giacchetto”

martedì 31 Marzo 2015

Giorni importanti per il processo all’ex manager del Ciapi

PALERMO – “Portami i documenti”, diceva al rappresentante legale della Sicily communication, Angelo Vitale, il manager Faustino Giaccheto che, secondo i pm palermitani, avrebbe pianificato una mega truffa per gestire a suo piacimento, grazie alla presunta compiacenza di imprenditori, burocrati e politici, 15 milioni di euro destinati alla comunicazione del progetto Coorap dell’Ente di formazione Ciapi.
Come ha raccontato ieri Vitale nel processo in cui è imputato Giacchetto, i “documenti” erano “cinquemila euro in contanti”. “La cifra – ha spiegato il teste (che ha patteggiato la condanna a due anni, ndr) – che ogni giorno gli dovevo consegnare in una busta. Dal lunedì al venerdì, per un totale di 25 mila euro a settimana”.
Oltre a Giacchetto, sotto accusa davanti alla quinta sezione del Tribunale di Palermo ci sono anche l’ex presidente dell’Ente del Ciapi, Francesco Riggio, Stefania Scaduto e Concetta Argento (rispettivamente segretaria e moglie di Giacchetto), l’ex dirigente dell’Agenzia regionale per l’impiego, Rino Lo Nigro, e l’ex assessore regionale Luigi Gentile.
Fatture gonfiate e operazioni immobiliari permettevano a Giacchetto, secondo quanto raccontato da Vitale – il quale ha portato a riscontro le fatture e i bonifici emessi – di avere a disposizione milioni di euro, finanziati al Ciapi, con i quali acquistava orologi di lusso, auto e perfino lavatrici. Con quei soldi pagava anche i lavori di ristrutturazione di casa sua e viaggi per politici: “Uno negli Usa – ha detto Vitale – a cui partecipò il deputato Francesco Cascio, uno in Tunisia dove si recarono Scalia, Gentile e Sparma, uno a Capri a cui prese parte Scoma, e viaggi per la sua famiglia, come quello a San Giovanni Rotondo”.
Tra i bonifici anche quello da tremila euro fatto alla soubrette Sara Tommasi per cessione dei diritti d’immagine. “Giacchetto – ha puntualizzato Vitale – mi fece capire che i ‘servizi’ della soubrette non erano quelli scritti nel contratto, che tra l’altro non ho mai ricevuto controfirmato dalla Tommasi”.
Quello che i pm hanno definito come il “sistema Giacchetto” è venuto alla luce grazie alle “gole profonde” Vitale e Sergio Colli, titolare della Media consulting, società che nel 2009 prese il posto della Sicily communication. Due aziende che per l’accusa erano in realtà riconducibili a Giacchetto che, attraverso operazioni finanziarie complesse, faceva confluire lì i soldi del Ciapi.
“Lo stato di sudditanza psicologica – ha detto Vitale – era dovuto anche a delle minacce che, in più occasioni, mi sono state formulate o in modo esplicito o in modo tacito”.
Per i suoi servizi, Vitale prendeva una percentuale degli introiti che derivavano dagli appalti che di volta in volta gli faceva ottenere Giacchetto (“Ho guadagnato – ha detto il teste – circa il 30% su appalti per la tipografia e servizi, quindi il 30% su 1,5 milioni di euro) e poi, quando i soldi per il Corap finirono, uno “stipendio” di circa diecimila euro ogni tre mesi per fare il factotum della famiglia Giacchetto.
Il “sistema Giacchetto” sarebbe consistito nel fare forniture parziali di servizi che poi venivano fatturati per intero. Poi i soldi in più tornavano a Giacchetto grazie a preliminari di vendita fittizi di immobili della famiglia Argento (quella della moglie di Giacchetto) “per un totale di 4,3 milioni di caparra confirmatoria incassata da Giacchetto – ha spiegato Vitale – su operazioni immobiliari di 7,5 milioni di euro”, o con altre “compensazioni finanziarie studiate ad hoc”.

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