Un “viaggio sensoriale” che tiene impegnati quasi tutti i nostri recettori. La vista prima di tutto: un variopinto mondo fatto di imbarcazioni semisommerse. Altre navi, ancorché galleggianti, risultano abbandonate. La patina di ruggine che le sovrasta da prua a poppa non teme smentita. C’è quella che arranca sprofondando da un solo lato, due più piccole invece, sono gemellate da uno sprofondamento uniforme. C’è n’è una enorme, piena di reti in disfacimento e con una poppa ricca di frigoriferi, sedie, secchi di vernice e solventi, bidoncini di plastica: una vera cloaca.
La puzza: ci si può… ristorare le narici con miasmi di gasolio e scarichi fognari più o meno abusivi. Non mancano altre misteriose sostanze putrescenti, che variano in ragione dei venti e delle temperature. Sono tutte spine queste, che stanno ormai diventando lame conficcate nelle coscienze dei più.
A sentire il primo cittadino mazarese, Nicola Cristaldi: “I relitti che da anni si trovano nel porto canale vanno eliminati con urgenza. La presenza di mezzi navali fatiscenti ostacola la navigazione interna nel porto, è motivo di degrado e di inquinamento delle acque”.
“Non si comprendono – conclude Cristaldi – i motivi dell’abbandono dentro il porto canale di imbarcazioni in rovina, che una volta erano adibite alla pesca, ma che oggi costituiscono focolai d’infezioni e inquinamento. La presenza dei relitti sul fiume è ancor più grave se si pensa che col fenomeno del marrobbio, questi costituiscono intralcio alla messa in sicurezza dei natanti ormeggiati”.
“Venite da noi!” potrebbe essere uno degli slogan pubblicitari “Mazara: la città del Satiro danzante vi inebrierà col salto del relitto, vi aspettiamo per offrirvi divertenti evoluzioni da un peschereccio semi affondato all’altro”.
Battute a parte, un pessimo biglietto da visita per una città che in molti dicono si debba convertire al turismo, dato che il settore della pesca è in costante crisi, con tutto ciò che in termini di economia reale questo rappresenta. Intorno al fiume si è sviluppato sin dall’antichità, infatti, il primo nucleo da cui poi ha preso vita quella che sarebbe diventata la prima marineria del Paese.
Le procedure per risolvere il problema restano lunghe e farraginose. Dopo una prima catalogazione dei relitti è necessario individuare il proprietario ed intimargli la demolizione.
“Se il proprietario non demolisce a sue spese – prosegue Messina – bisogna fare una valutazione del bene, appurare il relativo costo di demolizione e in ultimo, effettuarne la demolizione d’ufficio ed in un secondo momento provare a recuperare i costi”.
Gli enti coinvolti sono tre: Capitaneria, ufficio del Genio civile e Dogana. Non solo, per demolire alcuni relitti, sarebbero necessari fino a 50.000 euro.
“Soldi che – conclude Messina -, sarà molto difficile andare a recuperare da aziende già fallite o in mano a nullatenenti”.
C’è da sottolineare un’altra cosa. Data la vetustà di molti dei rottami semigalleggianti, risulterà difficile risalire ai loro proprietari. Alcuni natanti, infatti, non sono praticamente più identificabili, a causa dell’eccessivo stato di degrado in cui si trovano.
La collettività non ha vigilato a suo tempo e lo Stato, cioè tutti noi, saremo chiamati a pagare il prezzo di questo lassismo. Non dimentichiamo che, alla fine, le nostre tasse pagano anche questo tipo di malefatte.