Il tessile resta senza commesse. A rischio il comparto siciliano - QdS

Il tessile resta senza commesse. A rischio il comparto siciliano

Michele Giuliano

Il tessile resta senza commesse. A rischio il comparto siciliano

giovedì 05 Novembre 2009

Molte grandi aziende hanno “abbandonato” l’area produttiva siciliana: arriva l’ondata di licenziamenti. Nel solo polo catanese ci sono circa 250 lavoratori finiti in cassa integrazione

PALERMO – La Sicilia rischia di dover dire addio alla produzione tessile fatta in casa, quella di grande qualità che da sempre è punto di riferimento a livello internazionale.
Oggi però i numeri dicono ben altro e cioè che la crisi è imperante in questo settore: nel solo polo del catanese, quello che in pratica rappresenta quasi per intero il comparto regionale, ci sono all’incirca 250 lavoratori finiti in cassa integrazione. Per non parlare poi dei quasi 3 milioni di euro in meno di fatturato secondo la Cgil che ha preso posizione chiedendo con forza che venga salvaguardato un settore che in Sicilia rappresenta un’importante fetta dell’economia locale.
“La situazione più grave – sottolinea Gino Mavica, esponente della Camera del lavoro – la vive un’azienda in particolare che ha perso tutte le commesse. Un altro importante gruppo, sino a poco tempo fa grande riferimento per numerose case stilistiche, ha perso l’80 per cento delle commesse.
Fra tutti i lavoratori che sono circa 450, senza considerare l’indotto, la metà percepisce oggi l’indennità di sospensione, ma il futuro è ovviamente incerto. A seguito degli accordi del sindacato con le aziende presso l’Ufficio provinciale del lavoro ci sono oltre 84 dipendenti in cassa integrazione ordinaria fino a dicembre”.
In pratica, la situazione è davvero drammatica e non sembrano nemmeno esserci spiragli che possano far pensare che un domani possa anche andare meglio. Il Tessile brontese produceva solo per la Diesel di Renzo Rosso 5 mila capi al giorno fino al settembre 2008.
Fino a quando cioè l’azienda di jeans dell’imprenditore ha deciso di abbattere le commesse in misura notevole. Sta di fatto che il consorzio del paese del pistacchio in media, oggi, produce circa 700 capi al giorno per quel gruppo. Numeri non di poco conto se si pensa che la Diesel era uno dei maggiori committenti del consorzio.
I sindacati però adesso vogliono passare alle vie di fatto cercando di non perdere altro tempo in appelli o cose simili, anche perché sino ad oggi i risultati sono stati abbastanza scadenti. “Prima di tutto – spiega Mavica – abbiamo chiesto un incontro urgente con il presidente del comitato provinciale dell’Inps di Catania, affinché venga erogata quanto prima alle lavoratrici l’integrazione salariale, poi abbiamo programmato un incontro con il presidente della Provincia, Castiglione, per affrontare complessivamente la crisi produttiva del comparto. Ma abbiamo anche chiesto alle segreterie nazionali di categoria di intervenire presso la Diesel, al fine di trovare una soluzione contrattata allo scontro legale in atto tra questa ed il polo tessile locale”.
La Cgil poi è tornata a chiedere l’incontro con Renzo Rosso, patron della Diesel e cittadino onorario brontese: “Se diserta nuovamente l’incontro – chiude Mavica – chiederemo la revoca della cittadinanza. È arrivato il momento di sottrarre eventuali agevolazioni pubbliche, allorché si riscontri che la Diesel localizzi all’estero parte della produzione”.
Un chiaro segnale di apertura ma anche un minacciata velata a chi ha chiuso le porte in faccia allo sviluppo del manifatturiero locale.
 

 
L’approfondimento. I sindacati contro le grandi aziende
 
Mentre la Cgil prova a tenere aperto uno spiraglio per il dialogo c’è invece chi, come la Uil, già oggi preferisce mettere in mostra gli artigli andando a muro contro muro:
“La crisi del distretto produttivo tessile di Bronte – dice il segretario provinciale della Uilta Uil di Catania, Salvino Luca – è stata provocata innanzitutto dalla selvaggia, massiccia, politica di delocalizzazione delle commesse che è stata attuata da aziende come la Diesel. Da anni cerchiamo come organizzazione di tutelare il processo produttivo del Made in Italy e Made in Sicily ritenendo fondamentale ed opportuno la tracciabilità e l’etichettatura del prodotto potenziando le strutture di marketing, la formazione delle maestranze, il miglioramento dell’immagine e della visibilità sul mercato. Questo il distretto deve subito realizzare con una politica di investimenti produttivi,  chiedendo a chi di competenza relativi finanziamenti mirati e non a pioggia”. Sul caso della mancanza di commesse, invece, la Uilta ha agito in giudizio accusando l’azienda per abuso di dipendenza economica al fine di tutelare e difendere gli interessi dei lavoratori che rischiano di perdere il posto di lavoro a seguito della forte riduzione delle commesse da parte di quell’azienda”.

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