Il cancro al seno si può sconfiggere. Nuove cure promettenti - QdS

Il cancro al seno si può sconfiggere. Nuove cure promettenti

Serena Giovanna Grasso

Il cancro al seno si può sconfiggere. Nuove cure promettenti

martedì 29 Settembre 2015

Si chiama oncoimmunoterapia la cura che educa l’organismo a riconoscere il tumore e a distruggerlo. Ma nel Mezzogiorno e in particolare in Sicilia è ancora scarsa la prevenzione

PALERMO – Esattamente dopo le malattie di tipo cardiovascolare, il tumore è la seconda ragione di mortalità in Italia. La forma di neoplasia che affligge in misura sempre maggiore le donne è costituita dal tumore al seno. Le più colpite sono le donne residenti nell’Italia settentrionale. Infatti, secondo i dati diffusi da Favo (Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia), si presenta nel Settentrione con un’incidenza pari a 124,9, contro il 95,6 del Mezzogiorno.
Una buona notizia per le donne dell’intero Stivale proviene dal congresso internazionale sul tumore al seno “Meet the professor”, tenutosi a Padova tra il 10 e il 12 settembre scorsi. È stata rivalutata l’applicazione anche alla cura del tumore alle ovaie e alla mammella dell’oncoimmunoterapia, cura finora rivolta esclusivamente ai melanomi e al cancro ai polmoni.
Si tratta di una tipologia di cura che attiva le difese naturali dell’organismo e rieduca il sistema immunitario a riconoscere il cancro per poi distruggerlo. Nello specifico, i farmaci adottati utilizzano una tecnica che impedisce alle cellule cancerose di evadere la sorveglianza del sistema immunitario e di trasformarsi in tumore. Così, i geni mutati che predispongono al tumore al seno e ovaie non costituiscono più un fattore di rischio: al contrario, i nuovi studi li utilizzano per aggredire meglio l’eventuale tumore. Ulteriore novità della cura consiste nella maggiore speranza di conservare fertilità e sessualità, dopo la guarigione dal tumore (leggi sotto).
Dunque, si allargano per le donne italiane le prospettive di guarigione dal tumore alla mammella e le speranze della ripresa della quotidianità. Ancor prima di curare la suddetta forma di neoplasia, è necessario diagnosticarla, preferibilmente nei tempi più precoci, così da ridurre al minimo ogni tipo di danno e incrementare le possibilità di guarigione.
Se come abbiamo visto, da una parte le donne meridionali si ammalano con minore frequenza rispetto alle settentrionali, non è possibile riscontrare uguale vantaggio in termini di guarigione, a causa della minor propensione delle prime ad effettuare dei controlli preventivi. Alquanto allarmanti sono i risultati rilevati dall’Osservatorio nazionale screening. Infatti, l’estensione dei programmi di screening, ovvero l’indicatore che misura la percentuale di persone regolarmente invitate negli intervalli previsti, si assottiglia sempre più man mano che ci si sposta verso il Mezzogiorno. Assai rilevanti differenze marcano il livello territoriale: infatti, nel Settentrione le donne invitate con una certa regolarità sono state nove su dieci, più di otto su dieci al Centro e appena quattro su dieci nell’Italia meridionale ed insulare.
Se questi sono gli scarsi risultati relativi all’estensione del servizio, ancora più scarsa è la sensibilità all’adesione riscontrata nel Mezzogiorno d’Italia. La Sicilia è costantemente agli ultimi posti, al terz’ultimo per la precisione, accompagnata da Campania e Calabria. In particolare, solo il 37% delle siciliane esegue lo screening mammografico all’interno dei programmi gratuiti, in regioni come l’Emilia Romagna si parla del 74%, persino la media nazionale è assai distante (51%). Mentre il 17% delle donne dell’Isola si sottopone all’esame mammografico al di fuori del programma di screening, quindi pagando interamente il costo o solamente il ticket. A far da scorta all’Isola troviamo Campania e Calabria con adesioni pari rispettivamente al 20% e 26% per quel che riguarda i programmi gratuiti e 25% e 18% per quel che inerisce gli screening a pagamento.
Dunque, prima ancora di curare il tumore, è necessario diagnosticarlo ed occorre farlo in tempo, per evitare che sia troppo tardi.
 
Così, è sempre maggiore l’importanza attribuita alle campagne di sensibilizzazione. Ha rappresentato un contributo a dir poco notevole l’iniziativa “Maggio in…forma”, promossa dall’Andos (Associazione Donne Operate al Seno – Comitato di Catania), dalla Lilt (Lega Italiana per la lotta contro i tumori di Catania) e dalla Fondazione Etica e Valori Marilù Tregua. L’obiettivo dell’iniziativa, svoltasi durante lo scorso mese di maggio, è stata quello di coinvolgere le donne tra i 40 e i 49 anni non raggiunte dai programmi di screening senologici del sistema sanitario nazionale. Assai numerose sono state le donne che si sono sottoposte gratuitamente ai programmi di screening finanziati dalla Fondazione Tregua. Un’iniziativa necessaria in quanto nel 2013 solo il 35/40% delle catanesi – rispetto all’80/90 % delle donne del Nord Italia – aveva effettuato una mammografia preventiva.
 

 
Prima della chemio. Un ormone protegge le ovaie e conserva la fertilità delle donne
 
ROMA – Avere un figlio dopo un tumore al seno è possibile grazie a un ormone che protegge le ovaie e consente di preservare la fertilità, diminuendo di ben due terzi l’insufficienza ovarica dovuta alla chemioterapia. è quanto emerge da una ricerca italiana presentata al Congresso europeo sul cancro e pubblicata sulla rivista Annals of Oncology. Aumenta, negli anni, il numero di persone che sopravvivono ai tumori ma, sempre più importante, è anche “come”. Con la crescente tendenza a ritardare gravidanza, il cancro al seno viene spesso diagnosticato prima che le donne abbiano coronato il sogno di una famiglia. Per loro una speranza in più arriva dal trattamento con l’ormone LHRH analogico (luteinizzante-releasing hormone). “La chemioterapia può danneggiare le ovaie e spingere le giovani in menopausa, provocare sterilità, disturbi del sonno e osteoporosi. Ma è anche psicologicamente doloroso, nocivo per la salute e influenza le decisioni di iniziare trattamento”, spiega Matteo Lambertini, oncologo medico dell’Irccs “Azienda ospedaliera universitaria San Martino” di Genova. Lambertini e i suoi colleghi hanno condotto una meta-analisi utilizzando 12 studi precedenti randomizzati per un totale di 1.231 pazienti con carcinoma mammario sottoposte a chemioterapia, con o senza LHRHa, notando che i tassi di insufficienza ovarica precoce si sono stati ridotti del 64% nelle pazienti che hanno ricevuto la terapia. La protezione farmacologica delle ovaie, sottolinea Lambertini, “è un’opzione attraente perché non richiede alcuna procedura invasiva”. Tuttavia, “non necessariamente è alternativa alla crioconservazione degli ovuli”, procedimento che prevede il prelievo dei gameti femminili, il congelamento e, successivamente, il nuovo inserimento nelle ovaie.

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