Suina, business della industria farmaceutica - QdS

Suina, business della industria farmaceutica

Carlo Alberto Tregua

Suina, business della industria farmaceutica

martedì 10 Novembre 2009

Le multinazionali montano il caso

La trentina di morti conseguente all’influenza AH1N1 è talmente bassa da non paragonarsi con le migliaia di morti per la rituale influenza annuale. L’allarme a livello planetario è stato eccessivo e sorge il sospetto che dietro ad esso si nasconda un grande business delle industrie farmaceutiche.
Esse hanno piena legittimità a cercare di vendere i loro prodotti, ma le Istituzioni a livello internazionale, a cominciare dall’Oms (Organizzazione mondiale della sanità), dovrebbero essere caute a seguire gli stimoli e gli impulsi di poche industrie che cercano di fare grandi affari.
Anche nel nostro Paese vi è stato un periodo di grande allerta. Ma con molto buon senso il Governo, per bocca del sottosegretario per la Salute, Ferruccio Fazio, ha rassicurato i cittadini, pur provvedendo a consentire l’immissione sul mercato fino a 24 milioni di dosi del vaccino. Quindi prudenza sì, ma alimentazione del business no. La vaccinazione di massa può essere controproducente, perché di fatto fa ammalare il vaccinato, seppur lievemente, in modo che possa autogenerare gli anticorpi qualora il virus dovesse aggredirlo.

Quando vi è una pandemia in corso non si dovrebbe procedere alla vaccinazione, perché essa fa peggiorare la situazione.
Il business miliardario subodorato dalle multinazionali è stato supportato da giornali e televisioni che, anziché controllare le fonti e fare un’informazione obiettiva e riscontrata, si sono abbandonati al catastrofismo per impressionare i cittadini. Mentre, se si fossero documentati presso le fonti istituzionali, avrebbero rassicurato la gente sulla scarsa probabilità di contrarre la Suina.
Peraltro, chi ha avuto la ventura di subirla se l’è cavata con qualche giorno di febbrone, senza complicazioni.  
Il vaccino viene consigliato a bambini, anziani e malati ed è probabile che in qualche migliaia di casi sia opportuno praticarlo. Esso costituisce il male minore, ma non è un rimedio salvifico rappresentato dalle multinazionali del settore che speculano spesso su credulità ed ignoranza dei cittadini.

 
Dobbiamo prendere atto che i medici di famiglia non si sono schierati a favore della vaccinazione di massa, ma prescrivono il farmaco caso per caso, quando ve n’è effettivo bisogno. Un comportamento di buon senso, che si dovrebbe unire all’abitudine di prescrivere ad ogni malato i farmaci essenziali e non quelli che potrebbero essere utili.
L’eccessiva prescrizione di medicamenti porta a fare lievitare, in Sicilia, la spesa dei prodotti nell’elenco “A”, dal 15,98% (media nazionale) al 19%. Il che significa che il Servizio sanitario siciliano, fra pubblico e privato, compreso il consumo dei singoli pazienti, brucia 300 milioni in più di quelli essenziali. Questo spreco non è consentito, tenuto conto poi che vengono a mancare risorse per investimenti in attrezzature e modernizzazione degli ospedali.
La questione sanitaria della nostra Isola, dopo i tagli opportuni effettuati dall’assessore regionale alla Sanità, Massimo Russo, non è delle migliori.

Tuttavia i magnifici diciassette dg, che hanno appena assunto l’incarico, non possono non inserire nella loro azione elementi di efficienza, in modo da riorganizzare i servizi loro affidati, tagliando le liste d’attesa, favorendo i loro clienti (malati), pur restando rigorosamente entro i limiti delle spese dei loro bilanci. In questo quadro non abbiamo sentito indirizzi su comportamenti relativi alle vaccinazioni dell’influenza in questione.
A livello nazionale, è stato ampiamente raccomandato alle famiglie di non intasare i Pronto soccorso degli ospedali, perché è un comportamento inutile, privo di benefici. Sarebbe opportuno che tale indicazione venisse fatta dall’assessorato regionale anche attraverso la stampa, in modo da evitare inutili resse. Tutti i cittadini hanno il diritto ad essere curati, ma le cure devono essere appropriate ed essenziali. Non possono essere eccessive e abbondanti, perché non servono, mentre danneggiano contemporaneamente le scassate finanze regionali.

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