Orario di lavoro in ospedale e Legge Basaglia: si replica? - QdS

Orario di lavoro in ospedale e Legge Basaglia: si replica?

Giuseppe Bonsignore

Orario di lavoro in ospedale e Legge Basaglia: si replica?

giovedì 05 Novembre 2015

Scoppia la polemica sulla timbratura dei medici, che entrerà in vigore dal 25 novembre

Siamo alle solite. In Italia si varano leggi e riforme con tanto di scadenze inderogabili, trascurando però di creare le condizioni per dare piena e completa applicazione alla nuova normativa.
Nella sanità italiana è già successo in passato e sta accadendo di nuovo. Un esempio per tutti? Quella passata alla storia sotto il nome di Legge Basaglia, che nel 1978 decretò la chiusura dei manicomi per garantire ai malati psichiatrici, oltre a cure appropriate, un’adeguata qualità di vita. Quella chiusura “improvvisa” degli ospedali psichiatrici non fu accompagnata da un’adeguata pianificazione e dalla contestuale istituzione di valide alternative in grado di fornire al sistema gli strumenti idonei per prendersi carico dei pazienti senza gravare sulle famiglie italiane, che pagarono a caro prezzo le inadempienze della politica.
Di quella negativa esperienza non sembrano aver fatto tesori i nostri legislatori ed amministratori locali e, seppur in ambito diverso, adesso ci risiamo: il 25 novembre prossimo entrerà in vigore una Direttiva europea vecchia di oltre 10 anni, la 2003/88/CE, subito applicata in tutti gli Stati membri comunitari, tranne che nel nostro Paese. E già monta la polemica.
La suddetta Direttiva disciplina l’orario di lavoro del personale sanitario nelle strutture pubbliche e private, ponendo alcuni limiti invalicabili alle ore di lavoro continuativo: 13 ore al massimo per ciascun turno e 48 ore settimanali in media, incluso lo straordinario. Viene inoltre introdotto l’obbligo al riposo di almeno 11 ore tra un turno di lavoro e il successivo. Tutto questo per garantire a medici e infermieri un adeguato recupero psico-fisico, ridurre lo stress lavorativo e, quindi, il rischio clinico.
La nuova norma viene quindi varata nell’interesse tanto dell’operatore sanitario quanto del paziente. Tutti gli attori del sistema vengono tenuti in debito conto e salvaguardati. Magnifico. E allora da cosa nasce la polemica? Man mano che ci si avvicina alla fatidica scadenza, si susseguono prese di posizione molto diverse tra loro, spesso diametralmente opposte. C’è chi grida allo scandalo, paventando disastrose ripercussioni sulla salute dei pazienti che, dal giorno appresso all’entrata in vigore della norma, non troveranno più il “loro medico” in ospedale perché… sta riposando a casa. C’è invece chi difende a spada tratta il provvedimento legislativo, intestandosi l’esclusività di una vittoria sindacale scaturita, tuttavia, soltanto dal timore del nostro Governo di incorrere in una ormai certa procedura di infrazione a Strasburgo. Anche i secondi, cioè i fautori della bontà della Direttiva europea, sostengono che grazie ad essa verranno maggiormente tutelati i pazienti. E sul fatto che sia meglio farsi curare ed assistere da medici e infermieri riposati e arzilli piuttosto che sfiniti e morti di sonno, lapalissianamente, siamo tutti d’accordo.
In realtà, posizioni apparentemente così distanti trovano entrambe una giustificazione nella possibilità che si stia andando incontro ad una drammatica replica della Legge Basaglia. Solo che stavolta è l’ospedale che rischia di diventare un… manicomio.
Né il legislatore nazionale né i soggetti deputati ad attrezzarsi per tempo, ancora una volta le Regioni, hanno pensato, oggi come ieri, a cosa fare il giorno dopo l’entrata in vigore della Legge. L’applicazione delle nuove regole, pena le pesanti ammende che verrebbero comminate ai direttori generali delle Aziende ospedaliere sparse sul territorio nazionale, determinerà infatti l’impossibilità di valicare quei limiti all’orario di lavoro finora invece ritenuti molto… elastici, con un surplus esorbitante di ore lavorate (e quasi mai retribuite o recuperate). Quindi le soluzioni potranno essere soltanto due: o si assumono nuove unità o si tagliano i servizi.
Anche in questo hanno ragione entrambi i sostenitori delle due posizioni prima esposte. Da una parte c’è chi vuole finalmente vedere incrementato il personale sanitario, dall’altra c’è chi è certo di assistere ad un’ulteriore taglio dell’assistenza sanitaria. In tutti e due i casi ci si preoccupa per la salute dei pazienti, solo da punti di vista differenti. E allora, cosa fare? Quello che manca alla soluzione del problema è il conquibus, inteso alla maniera ironica della locuzione latina che sottintendeva il termine nummis, e cioè i denari.
Perché alla fine di questo si tratta: servono risorse economiche (che il Governo nazionale non ha nemmeno preso in considerazione nella Legge di Stabilità) per accrescere le risorse umane.
In atto la prospettata valanga di assunzioni resta un sogno e non vale la pena illudersi più di tanto. Quindi bisogna trovare soluzioni alternative: vanno assolutamente cambiate le regole contrattuali che, essendo state sottoscritte in vigenza di una normativa diversa, all’indomani dell’entrata in vigore della nuova, cesseranno di avere applicazione. Ed è proprio da un confronto sulla materia contrattuale a livello nazionale che, al di là dell’auspicato incremento di risorse, si potrebbero trovare soluzioni accettabili senza stravolgere l’architettura normativa della direttiva europea, ma adattandola al sistema.
La Cimo, a livello nazionale ha già chiesto all’Aran di aprire un percorso negoziale per affrontare un tema così urgente e scottante. Finora non è arrivato alcun segnale concreto. L’auspicio è di avviare una trattativa che porti alla modifica delle norme contrattuali in tempo utile per evitare il disastro. Non sarebbe poi una cosa da pazzi sedersi attorno a un tavolo per adattare le norme contrattuali alla Direttiva europea col consenso e il buon senso di tutti.

Giuseppe Bonsignore
Responsabile Comunicazione CIMO Sicilia

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