Etica nella scuola, etica nel lavoro - QdS

Etica nella scuola, etica nel lavoro

Carlo Alberto Tregua

Etica nella scuola, etica nel lavoro

martedì 23 Febbraio 2016
A Valenza, la scuola media Pascoli sta sperimentando l’intramoenia delle lezioni o per le lezioni. Gli alunni che avessero necessità di sostegno, anziché ricorrere ad insegnanti esterni, potranno utilizzare gli stessi insegnanti dell’Istituto che mette a disposizione i propri ambienti il pomeriggio.
Le lezioni costeranno ai ragazzi 20 euro l’ora per la singola, 15 euro l’ora per quattro alunni e 10 euro l’ora per dieci alunni. Con questo metodo vi è trasparenza perchè le lezioni si pagheranno con bollettino postale direttamente alla scuola.
Una piccola parte dell’importo pagato sarà trattenuto dalla stessa scuola per le pratiche amministrative. Ovviamente l’alunno non potrà ricevere lezioni private da un proprio insegnate.
Ecco un modo per eliminare nero e speculazione nel settore delle lezioni private. Non abbiamo notizie che il modello testé riportato abbia qualche emulazione da scuole di ogni ordine e grado della Sicilia.

Il diritto allo studio è sancito dalla Costituzione, la quale prevede però il corrispondente dovere di studiare. Infatti l’articolo 34 prevede che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
Dunque la Costituzione prevede una scuola meritocratica, non assistenziale, secondo la quale gli alunni, a carico della collettività, hanno l’obbligo di cercare il massimo profitto all’interno dell’Istituzione scolastica.
Il guaio è che dopo il ‘68 il livello dell’Istituzione scolastica si è sempre più abbassato ed al rigore degli insegnanti e delle famiglie che li appoggiavano è succeduto una sorta di buonismo universale, che giustifica le insufficienze e le incapacità degli studenti di impegnarsi.
In Italia, l’etica nella scuola è scesa ai livelli più bassi perché essa ha tre vizi capitali: il grave ritardo con cui i ragazzi si accostano al lavoro, la tolleranza per chi aggira le regole, l’atteggiamento di difesa dei figli da parte delle famiglie, quando gli insegnanti li fanno lavorare troppo o non li premiano abbastanza.
In Italia i ragazzi vanno a scuola a sei anni compiuti, negli altri Paesi a cinque; da noi la scuola dura tredici anni, altrove undici o dodici.

 
La conseguenza di quanto precede è che i ragazzi arrivano alla soglia del lavoro con uno o due anni di ritardo. Peggio ancora, all’interno del percorso scolastico, non viene sperimentato l’apprendistato, come invece si fa in Germania, con la conseguenza che i giovani maturati sono completamente sprovveduti e non hanno neanche l’idea di che cosa sia un lavoro, di qualunque genere. Mentre i ragazzi tedeschi hanno già maturato qualche esperienza non solo nei mestieri, ma anche nella disciplina.
Sapete cos’è il PISA? Si tratta del Programme for international student assessment, un’indagine condotta da quindici anni dall’Ocse sulle competenze cognitive degli alunni. Tale indagine sottopone ogni tre anni un campione statisticamente significativo di studenti delle scuole superiori di tutti i Paesi membri dell’Ocse. Il test PISA è stato ideato da Andreas Schleicher, un docente di fisica sin dagli anni ‘80.

Il test voleva confrontare le abilità di studenti di Paesi e regioni diversi su basi oggettive: non utilizzando voti o percentuali di promossi o bocciati, ma le qualità dei sistemi educativi dei vari Paesi. La graduatoria conseguente vede la Finlandia al primo posto in Europa e l’Italia agli ultimi posti.
Merito nella Scuola e nelle Università imporrebbe la cessazione di quella vergogna tutta italiana che è la presenza dei fuori corso. Solo nel 2013, essi sono stati più della metà, il che significa considerare l’Università come parcheggio piuttosto che come percorso, per acquisire competenze ed affrontare il mondo del lavoro.
Ormai le imprese non selezionano i curricula in base ai voti, ma secondo l’Università dove si è conseguita la laurea o l’Istituto scolastico dove si è conseguita la maturità. Soprattutto valutano il tempo in cui un giovane ha completato gli studi e si è laureato. Infatti, un voto alto preso in dieci anni di Università è privo di significato.
L’irresponsabilità che si impara a scuola e nell’Università si riflette nel lavoro, mentre occorre meritocrazia per progredire.

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