Def, pochi tagli e pochi investimenti - QdS

Def, pochi tagli e pochi investimenti

Carlo Alberto Tregua

Def, pochi tagli e pochi investimenti

sabato 23 Aprile 2016

Non eliminati sprechi e sperperi

Il Documento di economia e finanza (Def) è previsto dalla Legge 39/11. Viene presentato alle Camere entro il 10 aprile di ogni anno, dopo l’approvazione da parte del Governo, ed inviato all’Ue entro il 15 aprile. 
Si compone di tre parti: la prima riguarda il programma di stabilità, con obiettivi di politica economica per il triennio successivo e l’aggiornamento delle previsioni per l’anno in corso; la seconda si riferisce alle analisi e tendenze della finanza pubblica; la terza delinea il programma nazionale di riforma (Pnr), cioè i provvedimenti organizzati per area di intervento.
Dopo la lettura delle 137 pagine, l’impressione che se ne ricava è che la linea di politica economica del Governo non è riuscita a tagliare adeguatamente sprechi e sperperi, per recuperare risorse da destinare ad investimenti. è questo il nocciolo della questione: tagliare le unghie ai privilegiati, recuperare le risorse e sostenere nuovi investimenti e nuova occupazione.

Vediamone gli aspetti più significativi. Nel 2015 il Pil nominale ha toccato i 1.636,4 mld, con una crescita dello 0,8%. Nel triennio 2016/18 è prevista una crescita dell’1,2% all’anno, ma non sappiamo se questo obiettivo possa essere raggiunto, perché ancora la burocrazia italiana è una sorta di cappio all’economia, alle imprese e ai cittadini che non consente di farli respirare regolarmente, perché frena ogni attività anziché aiutarli.
Vi è poi l’altro macigno che grava sull’economia italiana: i 2.214 miliardi di debito pubblico, dato aggiornato a febbraio 2016. Il debito è comunque in crescita anche se in rapporto al Pil si può stabilizzare ma non diminuire, anzi aumentare, perché il Governo ha intenzione per il prossimo triennio di non raggiungere il pareggio di bilancio ma di utilizzare la flessibilità europea per indebitarsi ulteriormente. Infatti il pareggio di bilancio è stato rinviato al 2019 quando, forse per un miracolo, il rapporto Pil/debito dovrebbe scendere a 123,8%.
Nel Def è ben spiegata tutta l’attività relativa all’emergenza migranti e i costi connessi. Nel Draft budgetary plan l’Italia ha indicato una spesa relativa pari a ben 3,3 miliardi, cioè lo 0,2% del Pil, sia nel 2015 che nel 2016.
 

Naturalmente tale spesa non riguarda solo l’ospitalità ma anche il soccorso in mare, l’accoglienza, la sanità e l’istruzione, compresa la lotta alle malattie.
La scelta del Governo di spendere questo importo per questioni umanitarie è condivisibile solo in parte, perché se da un canto è sacrosanto accogliere chi fugge dalle guerre, non lo è chi scappa dai propri Paesi per ragioni economiche. Poveri sono quelli ma poveri sono anche 5 milioni di italiani. Quando si deve scegliere fra i terzi e i nostri concittadini non c’è dubbio che bisogna dare la precedenza a questi ultimi.
Passi avanti si sono fatti nel sostenere il nuovo Governo ufficiale della Libia presieduta da Abdel Rahman al Sahwili, ma ancora esso non ha acquisito pieni poteri perché gli manca il consenso dei due governi situati a Tripoli e a Bengasi.
Se esso diventerà titolare della conduzione del Paese nordafricano, potrà essere effettuata una serie di iniziative fra cui il controllo delle coste e la registrazione preliminare dei richiedenti asilo.  

Sul versante del contenimento della spesa, il Governo ha adottato diverse misure il cui risultato è deludente perché, a fronte dei 30 miliardi l’anno di risparmio previsti dal piano Cozzarelli, fino ad oggi tali risparmi non hanno raggiunto complessivamente i 20 miliardi. Ciò perché vi sono stati interventi scarsamente efficaci soprattutto nelle pubbliche amministrazioni, ove imperversano oltre 8 mila partecipate che creano decine di miliardi di perdite e hanno nel loro organico un milione di persone, fra cui molti fannulloni, corrotti e corruttori.
Il Servizio sanitario nazionale ha avuto attribuito un ammontare di 111 miliardi per il 2016, ma esso è condizionato al raggiungimento dei Lea (Livelli essenziali di assistenza) dai quali molte Asp e Ao sono ancora distanti.
Viene stimato da più parti un risparmio di 10/12 miliardi nel Ssn solché si centralizzassero tutti gli acquisti di beni e servizi dal Brennero a Pachino e si inserisse efficienza.
Tenere a freno la spesa pubblica è impresa ciclopica: ma è essenziale stringere il collare, per investire.

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