Suicidi in carcere, circa 3 al mese. Il Ministero prova a porre un argine - QdS

Suicidi in carcere, circa 3 al mese. Il Ministero prova a porre un argine

Oriana Sipala

Suicidi in carcere, circa 3 al mese. Il Ministero prova a porre un argine

giovedì 19 Maggio 2016

Osservatorio Ristretti Orizzonti: da inizio anno si sono tolti la vita 13 detenuti, uno a Siracusa. Direttiva di Orlando: osservazione differenziata e spazi adeguati per i soggetti a rischio

C’è forse di base, nell’opinione comune e non solo, un’errata considerazione di cosa sia veramente il carcere, che poi si traduce di fatto in una palese negazione dei diritti del detenuto. Un non luogo, dove l’esistenza è cancellata, respinta ai margini della società, e dove qualsiasi tentativo di riabilitazione del soggetto è perso in partenza. Ed è forse proprio per questo che molti reclusi, circondati da sbarre e da mura indifferenti che lasciano poco spazio alla forza di credere in prospettive migliori, decidono di farla finita.
Secondo il Dossier “Morire di carcere”, realizzato da Ristretti Orizzonti e aggiornato al 10 maggio, nei primi mesi del 2016 si contano già 13 suicidi consumatisi all’interno dei panitenziari italiani, quasi un terzo del totale dei morti in carcere nello stesso periodo, che si attestano a 32 e tra i quali rientrano soggetti deceduti anche per altre cause. L’ultimo in ordine di tempo è stato un 45enne italiano che qualche giorno fa ha deciso di togliersi la vita nel penitenziario di Belluno: era in carcere solo da poche ore.
Tra i suicidi del 2016 se ne conta uno anche in Sicilia,  avvenuto nel carcere di Siracusa, dove un giovane di 25 anni ha deciso di farla finita. A questo si sommano quelli degli anni passati, cinque nel 2015, due nel 2014, quattro nel 2013, ma si potrabbe andare ancora a ritroso nel tempo. Tra quelli menzionati, cinque sono gli individui che si sono tolti la vita al Pagliarelli di Palermo, due nella prigione di Caltanissetta, uno all’interno dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, mentre gli altri tre si trovavano rispettivamente nel carcere Bicocca di Catania, in quello di Sciacca e in quello di Noto. Tutti uomini, tra cui un paio di stranieri, con un’età media di 45 anni. Il più anziano ne aveva 64, il più giovane 40 in meno. Anni, questi, che non si tradurranno mai in vita vissuta.
Consapevole della gravità del fenomeno, il ministro della Giustizia Andrea Orlando, lo scorso 4 maggio, ha infatti indirizzato al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Santi Consolo una direttiva, al fine di attuare delle misure volte ad arginare il problema.
“Si tratta di un fenomeno inquietante e intollerabile”, ha denunciato il Guardasigilli nella direttiva, “rispetto al quale è necessario innalzare il livello di attenzione”. In che modo? Sempre nella direttiva si legge che “verranno sviluppate opportune misure di osservazione del detenuto, differenziate a seconda della fase trattamentale e con particolare attenzione ai soggetti tossico-alcool dipendenti; saranno adeguati gli spazi detentivi destinati all’accoglienza dei soggetti a rischio, secondo criteri moderni e rispettosi della dignità della persona; saranno organizzati programmi formativi specifici per tutti gli operatori, favorendo l’interazione anche con coloro che da esterni operano nell’Istituto”.
Disposizioni, queste, che tengono conto di alcuni fattori di rischio, evedenziati dallo stesso ministro, come l’ambiente detentivo indifferenziato, l’isolamento, il disagio psicologico e mentale troppo spesso sottovalutato.
Ma di questo ce ne parla ancor meglio Antigone. L’associazione che da anni lotta per i diritti dei detenuti ha da poco reso noti i risultati del XII Rapporto “Galere d’Italia”, da cui emerge un quadro tutt’altro che confortante delle nostre prigioni. Il sovraffollamento, che certamente concorre a rendere precarie le condizioni dei ristretti in carcere, è ancora a livelli allarmanti, nonostante le condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo. Al 31 marzo 2016, infatti, il tasso di sovraffollamento nel nostro Paese (ovvero il numero dei detenuti rispetto alla capienza regolamentare) è pari al 108%, contro l’81,8% della Germania e l’85,2% della Spagna. Quasi 4 mila sono le persone prive di un posto letto regolamentare, mentre ben 9 mila sono i detenuti che vivono in meno di 4 mq, cioè al di sotto dei minimi standard stabiliti dalla Corte di Strasburgo.
La Sicilia, però, almeno per quanto riguarda il problema del sovraffollamento, è una di quelle regioni in cui l’emergenza sembra rientrata. Secondo gli ultimi dati del ministero della Giustizia, aggiornati al 30 aprile scorso, i detenuti nelle galere siciliane sono 5.789, su un numero totale 5.900 posti. La maglia nera invece spetta alla Lombardia, dove ci sono ben 2.000 carcerati in più rispetto alla capienza regolamentare, seguita da Puglia, Lazio e Campania, dove le eccedenze oscillano tra i 600 e gli 800 detenuti in più.
Secondo Antigone, poi, solo il 30% dei ristretti è impegnato in attività lavorative. La maggior parte di essi è coinvolta in mansioni legate all’amministrazione penitenziaria, come quelle domestiche. Poco più di 17 mila erano invece gli iscritti ai corsi scolastici attivati all’interno delle carceri nell’anno 2014/2015, di cui solo 7 mila promossi. Nemmeno la metà. Tra le proposte di Antigone, c’è infatti quella di un ripensamento degli spazi per lo studio, il lavoro e la socializzazione, nonchè una maggiore attenzione alla “formazione professionale dei detenuti in funzione di una loro partecipazione diretta ai lavori di manutenzione ordinaria”. Tutti aspetti da tenere in seria considerazione, se è vero che la finalità delle carceri italiane non è rieducativa soltanto a parole.

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