Processi in sei anni col cronoprogramma - QdS

Processi in sei anni col cronoprogramma

Carlo Alberto Tregua

Processi in sei anni col cronoprogramma

martedì 24 Novembre 2009

Accorciare le procedure con tempi certi

Il disegno di legge sul processo breve è una barzelletta nel titolo. Come si può dire breve un processo che dura sei anni? Certo, abituati ai tempi odierni più che doppi, si può affermare che esso si riduca, ma resta pur sempre di una lunghezza non europea.
Nel disegno di legge è inserita una norma che prevede la responsabilità personale del giudice qualora i tempi non siano rispettati. Bisognerà vedere con quali strumenti e in base a quali elementi potrà essere determinata tale responsabilità.
La materia è nebulosa, perché all’obiettivo sacrosanto di ridurre il tempo dei processi sottosta il vizio che in effetti la legge serva per tutelare Berlusconi piuttosto che i cittadini normali. Questo continuo equivoco fra gli interessi privati e quelli generali è un presupposto per non fare buone leggi. 
A questo marasma si aggiungano le fibrillazioni in seno al Pdl e gli scontri malcelati fra finiani e berlusconiani, senza contare tutte le anime del centrosinistra tentennanti fra un’astensione e un’opposizione dura.

Lo strepito più alto che sentiamo, con riferimento alla lunghezza dei processi, è che non vi sono risorse. Questo è parzialmente vero. La verità maggiore è che la procedura non è diritta come un rettilineo, ma oscilla come una sinusoide. Essa è cosparsa di moltissime e inutili fermate, che consentono a chiunque abbia interesse di rallentare il convoglio che, fra la prima e l’ultima udienza, dovrebbe marciare a tappe predeterminate.
Ecco che cosa manca al processo medesimo: il cronoprogramma. Vale a dire quello strumento che stabilisca con precisione tutti i tempi che intercorrono fra l’inizio e la fine e, senza consentire ad alcuno azioni dilatorie, sancisca con responsabilità personali tutti i tentativi di allungamento.
Certo, le cancellerie dichiarano carenza di personale. Ma dov’è il Piano industriale o Piano organizzativo per la produzione dei servizi (Pops) che abbia determinato quali e quante figure professionali servano per unità di servizio? Questo è il buco più grosso.

 
Se non viene realizzato il cronoprogramma dei processi civile, (civile, penale, amministrativo e tributario), la situazione non può cambiare. Per fare un cronoprogramma efficace non bastano i giuristi (magistrati, professori universitari e avvocati). Occorrono ingegneri e organizzatori, i quali conoscono la materia e sanno come fare per realizzarlo.
In questo quadro, una forte accelerazione verrebbe dalla totale informatizzazione dei processi, per cui non ci sarebbe più bisogno né di giganteschi archivi cartacei difficilmente consultabili, né dei tempi per archiviare e prendere carte e neppure dei viaggi della speranza che gli avvocati debbono effettuare per andare a visionare e a depositare documenti presso le varie cancellerie. Difficoltà che aumentano quando l’attività forense viene svolta in sezioni staccate dei Tribunali, poste in altre città, diverse da quelle del Tribunale principale. Tutto questo è noto e sembra folle che non se ne parli.

Dunque, è il cronoprogramma della procedura il nocciolo della questione. Ma di esso non vi è alcun accenno nel Ddl sul processo breve. Ecco che cosa fa sospettare che, non essendo una vera soluzione per i difetti che esistono, si ritiene che esso serva solo a Berlusconi. E questo è male, perché con questi espedienti i suoi avvocati difensori stanno affossando il premier, il quale ancora miracolosamente ha consenso ma, continuando a commettere errori di comunicazione e di comportamenti, andrà via via perdendo il suo appeal. Il tentativo di mandare tutto all’aria dev’essere passato più volte nella mente del Cavaliere, che si sente tradito da tante persone a lui vicine e, soprattutto, vulnerabile da questi due processi le cui sentenze, è inutile nasconderlo, sono di fatto già scritte.
La situazione istituzionale è difficile ma, dal punto di vista democratico, è un vero peccato che una maggioranza così ampia, come mai ha avuto il Parlamento italiano, ad inizio legislatura non faccia quelle riforme essenziali e incisive che sono nel suo programma e che rimetterebbero in navigazione il vascello-Italia.
Tutti si aspettano il colpo d’ala, anche brutale, perché non sopportano questo parlare a vuoto.

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