Confindustria: il Sud torna a crescere - QdS

Confindustria: il Sud torna a crescere

redazione

Confindustria: il Sud torna a crescere

mercoledì 28 Dicembre 2016

Check-up Mezzogiorno: ripresa contenuta. Prodotto interno lordo a +0,5% per il 2016 e +0,7% per il prossimo anno. Crescita trainata dal settore manifatturiero: produttitività a +3,5% nel 2015 (+2,2% al Centro-Nord)

ROMA – Prosegue la timida ripartenza dell’economia del Mezzogiorno avviatasi nel corso del 2015, ma il suo ritmo si mantiene ancora contenuto. Le stime del check-up Mezzogiorno, curato da Confindustria e Srm (centro studi collegato al gruppo Intesa Sanpaolo), confermano infatti il miglioramento delle prospettive dell’economia meridionale per il 2016, come evidenziato dai valori dell’indice sintetico dell`economia meridionale: per la prima volta dall’inizio della crisi, tutti e cinque gli indicatori utilizzati (Pil, export, occupazione, imprese e investimenti) fanno registrare valori positivi. Secondo le stime, dovrebbe proseguire nel 2016, sia pure più lentamente (+0,5%), la crescita del prodotto registrata nel 2015, quando il Pil era cresciuto nelle regioni meridionali più che nel resto del Paese (+1,1% contro lo 0,6% del Centro-Nord). Le previsioni per il 2017 (+0,7%) vedono proseguire questa moderata espansione.
Migliora, la produttività del manifatturiero, anche in modo più consistente che al Centro-Nord: secondo le stime, il valore aggiunto per occupato registra, nel 2015, un aumento del 3,5% (+2,2% al Centro-Nord). Segnali positivi per il manifatturiero sono confermati dall’andamento dell’export: nei primi nove mesi del 2016 è stato pari a 29,7 miliardi di euro. Confrontando i dati (cumulati) del III trimestre 2016 con quelli dello stesso periodo dell’anno precedente, l’export nel Mezzogiorno (senza i prodotti petroliferi raffinati) registra un notevole aumento (+9,6%). Se si depura, insomma, il dato della manifattura dal’effetto del perdurante calo degli idrocarburi, significa che sono numerosi i comparti che vedono migliorare la propria performance sui mercati internazionali: dall’automotive all’agroalimentare, dalle apparecchiature alla farmaceutica  Ancora poco per colmare i divari ulteriormente ampliatisi con la crisi, ma certamente uno scenario ben diverso dalla temuta desertificazione industriale del Sud.
Continua a crescere nel III trimestre del 2016 il numero delle imprese, confermando, come già nel 2015, un saldo positivo al Sud (+0,5%, circa 9mila imprese in più). E continua anche a crescita delle imprese di capitali (circa 16mila imprese in più, +6%), più forte rispetto alle altre regioni, quella delle imprese giovanili (oltre 257 mila al Sud), così come delle Start up innovative (+36,8% rispetto allo scorso anno) e delle imprese in rete (più di 4.100 a novembre 2016): tutti segnali di grande vitalità imprenditoriale.
Prevalentemente si tratta di imprese di piccola e piccolissima dimensione, la cui natalità rafforza la caratteristica principale del tessuto produttivo meridionale, che resta composto nella quasi totalità di micro e piccole imprese (il 99% delle imprese meridionali ha meno di 49 addetti), e rende ancora più urgente un intervento per irrobustirne le caratteristiche.
Per la prima volta dall’inizio della crisi, torna positivo il fatturato anche delle imprese classificate come piccole (+0,6 nel 2015 rispetto all’anno precedente): e cresce, anche se su numeri contenuti, anche il fatturato delle imprese a partecipazione estera, a conferma del potenziale di attrattività dei territori meridionali.
Il profilo del Mezzogiorno alla fine del 2016 è dunque quello di un’area tornata timidamente alla crescita, ma nella quale il ritmo con cui tali segnali si affermano ne rendono solo parzialmente percepibile la consistenza, sia presso i cittadini (soprattutto i più giovani), sia presso le stesse imprese. La lentezza con la quale i valori perduti con la crisi vengono recuperati si conferma decisiva: sono ancora 330mila gli occupati in meno rispetto al 2007, mentre il rischio di povertà è talmente elevato (soprattutto tra i giovani: il 46,8% dei giovani tra i 20 e 29 anni è considerato a rischio) che tornano a crescere anche le persone che rinunciano alle cure (13,2%, ben più della media nazionale), e si ferma la crescita dei giovani che decidono di proseguire gli studi.

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