Spese pazze Ars, molti i deputati prosciolti - QdS

Spese pazze Ars, molti i deputati prosciolti

Raffaella Pessina

Spese pazze Ars, molti i deputati prosciolti

giovedì 12 Gennaio 2017

Fino al 2014, anno di recepimento del decreto Monti, non vi era l’obbligo di rendicontare i propri movimenti. Ricciardi, Gup di Palermo: “Situazione cambiata, ma strada verso vera trasparenza ancora lunga”

PALERMO – La vicenda delle spese pazze è giunta ormai in Sicilia alla sua conclusione, ma a onor del vero sono stati molti i prosciolti, soprattutto perché i rappresentanti del Parlamento regionale fino al 2012 non avevano l’obbligo di rendicontare le spese  dei gruppi politici e di conseguenza erano incontestabili. È una delle ragioni per le quali il Gup di Palermo Riccardo Ricciardi ha prosciolto (del tutto o solo in parte) 11 ex capigruppo dei partiti rappresentati all’Ars: le motivazioni della sentenza di non luogo a procedere, emessa l’11 luglio scorso, sono state adesso depositate.
 
Sono stati del tutto scagionati Francesco Musotto e Nicola D’Agostino (Mpa), Paolo Ruggirello (Mpa e Gruppo misto) e Marianna Caronia (Cantiere popolare); prosciolti solo da alcuni capi d’accusa – ma rinviati a giudizio per altre spese e il relativo processo è già cominciato – sono: Giulia Adamo (Pdl), Giambattista Bufardeci (Grande Sud), Nunzio Cappadona (Alleati per la Sicilia), Rudy Maira (Pid), Livio Marrocco (Pdl), Cataldo Fiorenza (Gruppo misto) e Salvo Pogliese (Pdl).
Solo il “Decreto Monti”, il numero 174 del 10 ottobre 2012, trasformato nella legge 123 del 7 dicembre di cinque anni fa e recepito dalla Sicilia con  legge n.1 del 2014, ha stretto i cordoni della borsa. “Prima della sua entrata in vigore – ha scritto il giudice Ricciardi – non era configurabile, in capo ai presidenti di ciascun gruppo parlamentare dell’Ars o in capo a ciascun parlamentare regionale, alcun obbligo di rendicontazione annuale delle somme mensilmente erogate dall’organo assembleare” per il “funzionamento di ogni singolo gruppo parlamentare, né, tanto meno, un obbligo di restituzione al termine della legislatura degli eventuali avanzi di gestione. In altri termini – spiega il Gup – nessuna regolamentazione era prevista per la gestione dei contributi”.
 
Questo beneficio è valso fino alla quindicesima Legislatura compresa (2008-2012) e in parte per la 16ma, quella attuale, almeno fino al 2013. A questo punto il giudice, per contestare le spese precedenti al termine fissato, poteva seguire solo due strade.
 
“La prima è che vi sia prova del fatto che le spese sono state effettuate attraverso i contributi erogati dall’Ars a ciascun gruppo parlamentare, mediante l’esibizione della relativa documentazione fiscale, contabile ed extra contabile (scontrini, fatture e/o altri documenti ad essi equipollenti). La seconda è che vi sia prova del fatto che quella spesa sia stata diretta a perseguire un fine non rispondente a quello istituzionale, essenzialmente legato al funzionamento del gruppo parlamentare che ne è stato il beneficiario”.
 
In questo caso deve essere la Procura a dimostrare che è stato commesso il reato di peculato e l’indagato è innocente fino a prova contraria e il deputato stesso non è obbligato a fornire alcuna ricevuta a sua discolpa. Di fatto, fino al 2012 non era dato sapere come venivano spesi i soldi che venivano dati ai gruppi parlamentari in barba a qualsiasi legge sulla trasparenza. Oggi la situazione è cambiata, ma la strada per una vera trasparenza di come vengono spesi i soldi del cittadino è ancora lunga.

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