Cento anni fa aveva un unico cratere centrale. Oggi se ne contano almeno quattro, anzi cinque, se consideriamo l’ultimo nato di oltre 300 metri di altezza, il nuovo cratere di Sud-Est. Ma non finisce qui. Anche l’ultima eruzione è “figlia” di questa successione di eventi. Dalla fine di gennaio, l’attività eruttiva intermittente ha dato vita a un altro piccolo cono piroclastico sulla sella morfologica esistente tra il vecchio e il nuovo cratere. Mentre, dal 21 marzo in poi, dalla base del nuovo cratere di Sud-est ha preso piede una lenta, ma costante attività effusiva, con una colata lavica dagli scenari di incredibile bellezza.
Sul versante Sud occidentale del vulcano, invece, la lava ha creato fiumi incandescenti lunghi fino a tre chilometri, trasformandosi in meta continua di turisti e appassionati, soprattutto nelle ore notturne. Uno spettacolo unico, ma anche l’occasione per studiare questi fenomeni e provare a comprenderli, applicando nuovi strumenti per il monitoraggio dei flussi lavici messi a punto dall’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv). Come la tecnologia LiDar (Light detection and ranging), un sistema di telerilevamento “attivo” per l’esecuzione di rilievi topografici ad alta risoluzione tramite mezzo aereo, realizzata dai ricercatori Ingv, per misurare l’entità dei cambiamenti morfologici che dal 2007 al 2010 hanno interessato l’Etna.