Abusi di necessità? Sono privilegi - QdS

Abusi di necessità? Sono privilegi

Rosario Battiato

Abusi di necessità? Sono privilegi

venerdì 01 Settembre 2017

Isola divorata dal cemento con interi litorali “vietati” ai cittadini onesti: uno scempio da abbattere. Demolizioni: il commissario di Licata promette di proseguire, silenzio dagli altri Comuni

PALERMO – Ci troviamo all’interno di un giallo classico, tutti gli elementi sono stati onestamente esposti al lettore: le ordinanze della Procura, il modello virtuoso, gli strumenti (anche economici) per demolire e per sanzionare chi non demolisce, i pericolosi numeri degli immobili insanabili, l’inottemperanza diffusa in relazione alle demolizioni, la posizione delle parti politiche in gioco. E allora chi sarà l’assassino del territorio? È un rompicapo complicato, ma, come in un finale inaspettato, la responsabilità del crimine potrebbe essere collettiva.

Il paradosso di Licata
C’è un paradosso dalle parti di Licata. Uno dei pochi comuni siciliani che si è limitato  a rispettare quanto disposto dalla Procura di Agrigento, in merito all’esecuzione delle demolizioni degli immobili insanabili sul territori, è diventato noto, a livello nazionale, per essere il regno degli abusivi. Il paradosso si consuma in questo semplice passaggio: in tutta Italia, tra il 2001 e il 2011, soltanto il 10,6% degli immobili da demolire è stato effettivamente abbattuto (dati Legambiente). Licata, pertanto, è stato e continuerà a essere un modello di virtù (e non di abusi): l’ex sindaco Cambiano è stato sfiduciato dal Consiglio comunale e il Commissario Maria Grazia Brandara, che aveva occupato la stessa carica tra il 2014 e il 2015, proseguirà nel pieno rispetto della legge, come ha dichiarato al QdS, lavorando per proseguire nelle demolizioni e per “ridare dignità a una città che non merita di essere conosciuta come la città degli abusivi”. Un messaggio che è stato sottolineato con un hashtag ad hoc: #licataèdipiù.
Licata non è il problema, Licata è, eventualmente, il modello da riconoscere, anche se si limita a rispettare la legge, mentre nel resto d’Italia e (soprattutto di Sicilia) la situazione sembra decisamente più compromessa.


Il complice silenzio dei Comuni

Lo scorso marzo il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato aveva lanciato un appello ai comuni: “basta lassismo, demolite le case abusive”. I numeri rilasciati dalla Procura erano impressionanti: nel 90% dei comuni della provincia di Palermo ci sono case abusive da abbattere e 75 comuni su 82 non hanno adempiuto all’obbligo di demolizione o acquisizione di immobili abusivi, anche se i titolari delle case non in regola sono stati condannati con sentenze definitive.
Numeri che in realtà in Regione dovrebbero conoscere abbastanza bene. L’ultimo report sull’abusivismo edilizio, realizzato dal dipartimento Urbanistica e in riferimento ai dati del 2013, riporta la presenza di 905 ordinanze di demolizione e rimessa in pristino, a fronte di ottemperanze sulle ordinanze di demolizione che sono state intorno alle cento unità. Nel 2012 gli accertamenti erano stati 98 su 1.211 ordinanze. I Comuni, insomma, non vogliono demolire.
Perché? “La politica nel corso degli anni ha chiuso un occhio per catturare consenso – ha spiegato Brandara – adesso però è il momento di intraprendere la strada della legalità, anche se sappiamo che i Comuni hanno delle grosse difficoltà economiche”.
È una conferma che arriva anche dalla Regione, col dipartimento che spiega come “il numero degli atti conclusivi emessi dai Comuni risulta bassissimo soprattutto quando si tratta delle trascrizioni al Pubblico registro e dell’esecuzione delle demolizioni” e che è dovuta “a difficoltà oggettive degli uffici tecnici, spesso sottodimensionati, ma anche ai costi delle demolizioni che nei casi d’inottemperanza ricadrebbero inevitabilmente sulle esigue casse comunali”.

Leggi calpestate

La regola, infatti, è chiara: 90 giorni di tempo ai proprietari per demolire i fabbricati abusivi, altrimenti subentra il Comune. Prima ci sarebbe anche una sanzione. Condizionale d’obbligo in termini applicativi, anche se la norma esiste: la circolare dell’assessorato regionale del Territorio e dell’ambiente del 28 maggio 2015, n.3, pubblicata sulla Gurs del 19 giugno n.25, precisa il recepimento dinamico della normativa nazionale e, in particolare, i nuovi commi 4 bis, 4 ter e 4 quater dell’articolo 31 del D.P.R. 380/2001 con “i quali è stato inserito – scriveva l’Ance Catania in una nota – un ulteriore meccanismo di deterrenza rispetto all’inadempimento delle ingiunzioni a demolire”.
La regola, anche in questo caso, è chiarissima: “Comminazione di ‘sanzione amministrativa pecuniaria’ a carico del responsabile dell’abuso che risulti inadempiente decorso il termine perentorio di 90 giorni dall’ingiunzione di demolizione ed alla remissione in pristino dei luoghi”.
Somma che, si legge al comma 4 ter, va indirizzata al Comune per la demolizione e la rimessa in pristino delle opere abusive e all’acquisizione e attrezzature di aree destinate al verde pubblico e che può arrivare fino a 20 mila euro. Dal 2013, inoltre, c’è in Parlamento l’ormai celebre ddl Falanga, che dovrebbe appunto mettere ordine al sistema delle demolizioni degli immobili abusivi, e che, invece, continua a essere rimpallato tra le Camere. Nei prossimi giorni l’esame dovrebbe essere ripreso. Si ricomincia in commissione Giustizia.

La menzogna delle casse vuote

Ma non basta. Le giustificazioni economiche degli enti locali sembrano crollare di fronte all’insindacabile presenza di un fondo rotativo da 60 milioni di euro (50 mln Cdp e 10 a fondo perduto dal ministero dell’Ambiente) per agevolare i comuni nelle demolizioni. Sulla carta questo fondo, esistente dal 2004, avrebbe ricevuto centinaia di richieste di erogazione di contributi. Le concessioni ci sono state, le erogazioni non ancora. La disponibilità del fondo, riporta la Corte dei Conti nella relazione sul rendiconto generale dello Stato relativo al 2016, comunicata alla Presidenza della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica il 27 giugno 2017, è, infatti, ferma a 47,3 milioni di euro.


Ci sono ancora 47 mln per i Comuni siciliani
 
PALERMO – Il Fondo per le demolizioni delle opere abusive è “destinato alla concessione – si legge sulla relazione relazione sul rendiconto generale dello Stato relativo al 2016 – ai Comuni ed ai soggetti titolari dei poteri di cui all’art. 27, comma 2 del d.P.R. n. 380 del 2001 di anticipazioni senza interessi sui costi relativi agli interventi di demolizione delle opere abusive, disposti anche dalla autorità giudiziaria e per le spese giudiziarie, tecniche e amministrative connesse”. Possono accedere al Fondo soltanto i Comuni che ospitano sul territorio un’opera abusiva, oggetto di provvedimento di demolizione.
La dotazione originaria del fondo, istituito dalla legge 20 novembre 2003, n. 326, di conversione del DL del 30 settembre 2003, n. 269, e operativo dall’anno successivo, è di 50 milioni di euro, anche se attualmente le disponibilità del presente ammontano ancora a 47,3 milioni.
Tante richieste e poche concessioni, perché l’erogazione avviene soltanto in seguito alla demolizione. Nel 2016 “sono state concesse 105 anticipazioni a valere sulle risorse del Fondo – riporta la magistratura contabile –, in aumento in termini numerici rispetto al 2014 (102 anticipazioni) per un totale di 7,5 milioni, tutte concentrate nel secondo semestre, in linea in termini di volumi rispetto all’anno precedente (7,5 milioni)”.
La regione leader è la Campania anche se “sono arrivate richieste, seppur in termini numerici e di volume inferiori, dalle Regioni Calabria, Toscana e Sicilia”.
I comuni maggiormente interessati sono quelli della provincia di Napoli e Salerno (rispettivamente 65 e 32), mentre in termini di volumi concessi circa il 62 per cento del totale ha riguardato i Comuni della Provincia del capoluogo campano.
La Campania ha confermato di essere in prima linea nell’assorbimento delle risorse, arrivando al 90 per cento del totale. Sempre basse le erogazioni: nel 2016 effettuate per circa un milione, cioè in riduzione del 28 per cento rispetto al 2015, quando si erano attestate a quota 1,42 milioni.
 

 
Elezioni regionali, a parole tutti nel Partito della ruspa
 
PALERMO – Impossibile non parlare di abusivismo e demolizioni in vista sulle prossime elezioni regionali. Il fronte è mobile e in mezzo a tanta confusione sono soprattutto i leader ad aver segnato il territorio in maniera netta.
Un paio di giorni fa, Nello Musumeci, candidato in pectore della coalizione di centro-destra, ha parlato alla trasmissione In Onda di La7, dichiarando che “non esiste abusivismo di necessità, esiste latitanza del potere politico”.
Una linea in netto contrasto con quanto espresso dal M5S che ha visto il suo candidato Giancarlo Cancelleri fare riferimento al modello Bagheria, il sistema adottato dal suo collega di movimento Patrizio Cinque, primo cittadino del comune in provincia di Palermo, e parlare di “abusivismo di necessità”, precisando che non saranno abbattute le case della povera gente, anche se il tema è molto più complesso.
L’ha spiegato in una lunga nota sul suo profilo ufficiale su facebook proprio Patrizio Cinque, facendo appunto riferimento alle facoltà concesse al Comune di non demolizione sulla base dell’articolo 31 del dpr 380/2001.
Il modello Bagheria, in altri termini, non blocca le procedure di demolizione, ha spiegato Cinque, ma presenta una serie di variabili che vanno opportunamente analizzate riprendendo il documento presentato dall’esponente stellato.
Il regolamento è stato attaccato dai Verdi, che hanno presentato un esposto in Procura. La linea ufficiale del Partito Democratico, invece, sembra abbastanza definita: il segretario regionale Fausto Raciti è dalla parte di Cambiano, avendo dichiarato che starà “fuori dalla coalizione chi ha votato sfiducia al sindaco di Licata”.

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