Competenze e merito sconosciute nella Pa - QdS

Competenze e merito sconosciute nella Pa

Carlo Alberto Tregua

Competenze e merito sconosciute nella Pa

giovedì 28 Settembre 2017

Premiare chi lavora bene

Alla chiusura della Festa nazionale dell’Unità di Rimini di domenica 24 settembre, il segretario del Pd Matteo Renzi ha ribadito più volte che può andare avanti l’Italia delle competenze. Il giovane leader ha finalmente detto qual è l’elemento che può innescare una vera rivoluzione nel piattume italiano, che è la gara a chi sa di più, a chi possiede più conoscenze, a chi è in condizione di essere competitivo a livello mondiale.
Trainare la popolazione verso più alti livelli, quelli delle competenze, è un’impresa improba, perché nel popolo italiano, soprattutto in quello meridionale, è insita una sorta di indolenza e di mancanza di voglia del fare.
Ecco quello che devono imparare molti italiani: fare. Simpaticamente Ennio Morricone, qualche giorno fa, diceva in Tv che tale verbo è formato da due note: Fa e Re, con ciò intendendo che la musica permea tutte le attività delle persone. Ciò accade, aggiungiamo noi, perché essa si suona a tempo. Il metronomo comanda uno o innumerevoli musicisti. Se non vanno a tempo, musica non ce n’è.

Ecco l’insegnamento del grande maestro: tutto il Paese deve andare a tempo in una azione armoniosa derivante da persone che hanno competenze.
Ecco come si sposa il grido di Matteo Renzi con la pacata riflessione di Ennio Morricone.
Le competenze si cominciano ad apprendere a scuola, si dovrebbero approfondire all’Università e negli studi specialistici successivi alla laurea magistrale. Ma, durante il periodo scolastico e universitario, i giovani dovrebbero frequentare le imprese, in modo da annusare com’è il lavoro, quello vero, e cominciare a capire che non vi è lavoro serio e produttivo se esso non va a tempo.
Ma insegnanti di scuola e professori universitari non hanno capito bene che non devono trasferire ai loro allievi nozioni bensì concetti e soprattutto le regole del metodo. Ordine e metodo sono la base di un lavoro serio, anche di chi fa il puliziere, perché chiunque deve seguire il vecchio detto: “Ogni cosa al suo posto, un posto per ogni cosa”. Chi non ha ordine e metodo non ottiene risultati sufficienti, ma mediocri, come lo è chi lavora in questa maniera.
 

Il ragionamento che precede trova uno stridente contrasto in tutto il settore pubblico italiano, ove esistono competenze a macchia di leopardo, ove vi sono bravi e competenti dirigenti e dipendenti, ma vi sono anche tantissimi dirigenti e dipendenti incapaci e fannulloni, forse la maggioranza.
La Pubblica amministrazione nazionale, regionale e locale, non è improntata nella sua organizzazione ai valori di merito e responsabilità, perché è ininfluente chi abbia competenze o meno.
Ciò accade almeno per due ragioni: la prima riguarda l’assenza del Piano aziendale, amministrazione per amministrazione, dipartimento per dipartimento, area per area; la seconda si riferisce all’assenza di un sistema di controllo vero, non di tipo formale, che accerti i risultati, cioè i servizi prodotti per quantità e qualità idonei alle risorse umane e finanziarie impiegate per produrli.
La conseguenza è che nelle Pubbliche amministrazioni vi è un lavorìo, non un lavoro, tanto il tempo deve passare per potersene andar via.   

Intendiamoci, vi sono tanti pubblici dipendenti appassionati, ma il sistema pubblico non può accontentarsi di chi ha buona volontà e senso dell’onore, quello riportato dall’articolo 54 della Costituzione relativamente ai pubblici dipendenti. Vi deve essere un sistema, ovvero un metodo in base al quale ognuno deve sapere il da farsi e quale risultato deve produrre. Poi occorre un sistema di controlli che accerti se tali risultati siano stati raggiunti.
Il Governo Gentiloni vuole stanziare 2 mld per l’aumento dello stipendio dei dipendenti pubblici. Tenuto conto che essi sono super pagati rispetto ai servizi resi, l’iniziativa è quantomeno inopportuna.
In ogni caso, se proprio si dovesse consentire la grossa spesa annunciata, quantomeno gli aumenti dovrebbero essere variabili e tutti connessi ai risultati. Gli aumenti fissi e uguali per tutti sono veleno perché si alimenta il malcostume e non si innesta il processo di qualificazione che distingue i bravi dagli incapaci.

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